Massimo Roncoroni
- Coscienza e consapevolezza di sé tra scienza e metafisica
In genere usiamo i termini coscienza e autocoscienza per indicare le nostre più elevate esperienze
intellettuali. Criterio soggettivo e introspettivo, pur se tramite la comunicazione linguistica si può
stabilire che gli altri esseri umani condividono tale esperienza di auto-conoscenza.
L’autocoscienza pare quindi la caratteristica più specifica e fondamentale della specie umana. Essa
è una novità evolutiva perché le specie biologiche, donde viene pure l’umanità, hanno soltanto
rudimenti di consapevolezza di sé e di ciò che è altro da sé, quando non ne manchino del tutto.
Essa però ha portato con sé spiacevoli compagnie, quali paura, ansia, consapevolezza della morte,
che assedia, insidia e opprime l’uomo; ma anche gioia e speranza.
Da qui l’interesse per la fine della vita che si rivela nelle sepolture cerimoniali degli uomini
primitivi.
Il progressivo sviluppo dalla coscienza nel neonato alla autocoscienza del bambino è in qualche
modo un modello della comparsa evolutiva della coscienza. E Karl Popper osserva che “la
comparsa di una coscienza capace di auto-riflessione è uno dei più grandi miracoli” (1) nel senso di
un evento misterioso e imprevedibile.
Nel corso dell’evoluzione pare che qualche forma primitiva di auto-riconoscimento abbia preceduto
la traumatizzante esperienza della consapevolezza della morte e la speranza di una vita futura,
espresse in alcune credenze religiose (2). Anche il bambino solitamente acquisisce la conoscenza di
sé prima che compaia in lui la consapevolezza della morte. - La persona umana
Ognuno di noi si sperimenta sempre, sia pur nel flusso cangiante di ogni istante, persona dotata di
auto-coscienza che non è solo consapevole, ma sa anche di esserlo. Vi sono al riguardo due
significative affermazioni di Kant circa la persona, quando osserva che “la persona è un soggetto
responsabile delle proprie azioni” e “chi ha coscienza dell’identità numerica di se stesso in tempi
diversi è persona” (3). Popper ed Eccles in l’Io e il suo cervello parlano di “emergenza della piena
coscienza, capace di auto-riflessione come di un prodigio tra i più straordinari” (4).
Se facciamo coincidere la persona con l’insieme di volto, corpo, membra che caratterizzano
ciascuno di noi, siamo in errore. L’amputazione di arti e la perdita degli occhi sono da considerarsi
solo degli accidenti che lasciano alla persona umana la sua essenziale identità. Lo stesso per la
rimozione di organi interni, onde la persona umana resta immutata dopo un trapianto di reni o di
cuore, come avviene per molti altri organi rimossi del tutto o in parte.
La Neurobiologia e le neuroscienze moderne con tecniche avanzate studiano quelle aree cerebrali
che vengono definite neural correlates, o meglio correlati neuronali della coscienza e che
corrispondono ad attivazione di determinate aree della corteccia e degli strati più interni in seguito
ad azioni specifiche monitorabili o inducibili dall’esterno del soggetto (5).
Il problema è affrontato da diversi punti di vista, non solo di natura medico-biologica, e questo
consente descrizioni molto approssimate mediante modelli matematici di alcune funzioni le cui
implementazioni sfociano nella robotica. I tentativi di modellizzazione teorica del fenomeno sono
1
fondati su semplificazioni notevoli, che servono a mettere in luce gli aspetti salienti delle azioni
necessarie per arrivare alla attività cosciente, senza fornirne un modello completo (6).
Si possono spiegare gli eventi neuronali che mediano lo stato conscio, ma certamente non ancora la
totalità di quei processi per cui «l’acqua del cervello fisico si trasforma nel vino dell’esperienza»
(7), esperienza che è anche del tutto individuale, difficilmente generalizzabile, perché la coscienza
interna è quanto di più personale possa trovarsi in ogni singolo uomo (hic homo cumsciet) (8).
Già Kurt Gödel aveva sottolineato che la mente dell’uomo non è omologabile ad una macchina a
stati finiti perché si sviluppa costantemente (9). Per questo la previsione era e rimane che la
coscienza nella sua accezione più ampia difficilmente possa essere simulata con le attuali
conoscenze teoriche e pratiche di scienza dell’informazione e di ingegneria elettronica (10).
«Dimostrare che l’uomo è una macchina si è rivelata un’impresa senza prospettive che ha come
unico effetto un impoverimento sul piano conoscitivo» scrive Giorgio Israel (11). La simulazione è
possibile solo per piccole porzioni di sistema, come fatto, ad esempio, per il sistema neo-corticale
del topo (12).
Esistono poi altre prospettive come quella più recente di ipotizzare la coscienza come una proprietà
emergente del sistema complesso cervello, che comunque al momento attuale rimangono ipotesi
tutte da verificare per la mancanza di leggi ponte tra le molecole, le loro interazioni e le proprietà
che il sistema manifesta (13). Quindi in ultima analisi il problema è tutto aperto da un punto di vista
scientifico: rimane da capire se i “qualia” della psicologia si possano completamente spiegare su
basi fisico-molecolari, se gli “zombies” (14) possano esistere, in quanto duplicato di ognuno di noi
privo di coscienza fenomenologica, e se in ultima analisi il nostro “intimo” sia completamente
riconducibile alle interazioni più o meno complesse tra le nostre molecole e le nostre molecole e
l’ambiente.
Il neonato e anche l’embrione umano, secondo Popper ed Eccles, è già un essere umano, ma non
sarebbe ancora una persona umana. Secondo loro un essere deve infatti considerarsi umano quando
la sua costituzione genetica è formata dal pool genetico dell’homo sapiens. Un essere umano si
trasforma gradualmente in persona, se lo si lascia vivere e crescere.
Questa distinzione tra individuo di specie umana e persona umana, che comparirebbe grazie
all’assunzione di un ruolo sociale, oltre ad essere di dubbio valore scientifico potrebbe dare adito a
legittimare l’esclusione da diritti sociali di chi non avrebbe ancora una vita degna di essere vissuta.
Invece l’embrione umano è unità in attuazione verso una precisa forma compiuta. Potenza e atto
restano inscindibili nella sostanza dell’individuo umano, tra generazione e corruzione. Fin dallo
sviluppo embrionale risulta fondamentale il rapporto del feto con la madre.
E su questo giudizio di fatto e di valore, oggi più unico che raro, conviene anche Konrad Lorenz,
quando afferma che: “è dovere primo della scienza e del medico conservare in vita con tutti i mezzi
a disposizione il neonato venuto al mondo anche con un mese di anticipo, perché è certamente
contrario all’etica distruggere il feto con l’aborto perché ciò che viene distrutto non è
semplicemente un embrione in un corpo qualunque, bensì è un uomo fin dal primo secondo del suo
concepimento, solo che non è perfettamente sviluppato” (15). - Cervello, psiche e libertà di vita e di pensiero umani
Può servire concepire il cervello come uno strumento. Esso riceve informazioni dall’immenso
sistema sensorio composto di milioni di fibre nervose che sparano impulsi nel cervello dove
vengono tradotti in modelli di informazioni codificate, che noi leggiamo ogni momento
derivandone le nostre esperienze, percezioni, pensieri, idee, ricordi. Ma, come persone viventi ed
esperienti, non accettiamo passivamente tutto ciò che ci viene fornito dalle strutture neurali del
nostro sistema sensorio e del nostro cervello.
Selezioniamo, infatti, dati secondo il nostro interesse e la nostra attenzione e modifichiamo le azioni
delle strutture neurali del nostro computer per dare inizio a un movimento volontario, per
richiamare qualcosa alla memoria o per concentrare l’attenzione.
In che modo il funzionamento del cervello concorre allo sviluppo delle nostre idee? In che modo
fornisce l’immensa varietà di informazioni codificate, selezionabili dalla mente nella sua attività di
lettura delle nostre esperienze consce? Grazie a recentissimi lavori sul funzionamento della
neocorteccia possediamo molte più informazioni riguardo a questi problemi. Le tecniche radio-
traccianti hanno mostrato che il grande mantello che avvolge il cervello, la neocorteccia, è formato
da unità o moduli. L’organizzazione modulare ha notevolmente semplificato il tentativo di
comprendere il modo in cui funziona questa struttura iper-complessa. La prestazione potenziale di
un network di diecimila milioni di cellule nervose esula da ogni nostra comprensione. Riunendo le
cellule nervose in moduli formati da circa 4000 cellule ciascuno, si riduce il numero delle unità
funzionali della neocorteccia a 2/3 milioni.
Possiamo tuttavia chiederci se 2 o 3 milioni di moduli della neocorteccia siano sufficienti a generare
i modelli spazio-temporali che codificano l’intera attività conoscitiva del cervello umano: il
complesso di sensazioni, di ricordi, di espressioni linguistiche, di creatività delle esperienze
estetiche, per tutta la durata della nostra vita.
Tuttavia la mente deve essere capace di modificare il tipo di operazioni che si svolgono nei moduli
del cervello, diversamente sarebbe per sempre impotente.
Ora è difficile capire come la mente autocosciente possa collegarsi con un’immensa complessità di
insiemi modulari spazio-temporali. Tuttavia questa difficoltà è attenuata da tre considerazioni.
Una prima, si deve capire che la mente autocosciente ha imparato a svolgere tali funzioni sin dalla
prima infanzia “imparando ad usare il proprio cervello”; una seconda, mediante il processo
dell’attenzione essa seleziona dall’insieme dei modelli modulari i tratti che si accordano con i suoi
interessi del momento; una terza, la mente autocosciente si impegna ad estrarre un “significato” da
tutto ciò che legge: il passaggio da un’interpretazione ad un’altra è istantaneo e olistico, ché nella
lettura dei modelli modulari del cervello operati dalla mente non vi è mai una fase di transizione.
Elemento chiave dell’ipotesi dualista-interazionista è che l’unità dell’esperienza cosciente è fornita
dalla mente autocosciente e non dal meccanismo neurale della neocorteccia. Non è stato ancora
possibile sviluppare una teoria del funzionamento del cervello che spieghi come l’immensa varietà
degli eventi cerebrali sia sintetizzata in modo da produrre una unità dell’esperienza cosciente.
Una spiegazione solo materialistica che dà conto delle esperienze consce come effetti del
funzionamento del cervello non parrebbe sufficiente.
La convinzione di poter effettivamente prendere decisioni e avere un controllo sulle nostre azioni
non sarebbe che illusione. Coloro che hanno escogitato ogni tipo di scappatoie per sfuggire a
questa spiacevole conclusione hanno semplicemente evitato il problema.
Non a caso anche i filosofi materialisti si comportano come se avessero almeno qualche
responsabilità delle proprie azioni, quasi che la loro filosofia valesse per le altre persone e non per
loro stessi.
Per tale prospettiva noi tutti saremmo strutturalmente incapaci di verità e falsità, bene e male,
giustizia e ingiustizia, bellezza e bruttezza, perché saremmo tutti determinati a pensare, agire, fare
quel che pensiamo, agiamo e facciamo, da fattori non tanto storico culturali quanto naturali e
materiali, di ordine, in successione, genetico-biologico e chimico-fisico.
Tale ipotesi riduttivistica assume forma paradigmatica nelle affermazioni per le quali “il buono, il
bello, la forma, il mondo 3 di Popper [ossia il mondo delle creazioni culturali, tra le quali le
artistiche e le scientifiche hanno un posto rilevante] altro non sarebbero se non antiche e nuove
illusioni riducibili a una questione di stimoli sulla corteccia cerebrale” (16).
Ora, questa ipotesi che si presenta come attuale sulla scorta del recentissimo e prodigioso sviluppo
scientifico e tecnologico delle neuro-scienze, delle scienze del comportamento, delle scoperte
etologiche in antropologia e sociologia è antichissima, tanto che per rispondere ad essa basterebbe
riandare a Socrate quando, nel paragrafo XLVII del Fedone, risponde al dubbio di Cebete
sull’immaterialità intesa come uno dei possibili argomenti per dimostrare l’immortalità dell’anima.
Infatti in quel paragrafo Socrate si dice deluso del libro di Anassagora nel quale questi,
contraddicendo se stesso e la sua affermazione basilare del “nous” come “arché” di tutte le cose,
ricorre anch’egli per spiegarle a cause materiali come aria, etere, acqua… Come se uno per spiegare
il perché Socrate, che agisce con intelligenza, si trovi seduto in carcere, adducesse la ragione che i
suoi tendini e ossa e muscoli sono così e così piegati e scordasse che la vera ragione del suo essere
là è il fatto che desidera obbedire alle leggi della polis. Non bisogna infatti confondere, conclude
Socrate, la vera e propria causa o ragione di una cosa con il suo “come” o, in altri termini, l’ordine
dei fattori condizionanti una certa realtà con quello dei fattori determinanti la medesima.
Ma per venire vicino a noi troviamo in proposito argomentazioni significative e del tutto ad hoc in
Karl Popper, riguardanti appunto la negazione dell’autonomia ontologica ed etica dell’esperienza
umana (17).
“È evidente – afferma Popper – che tutto questo è assurdo e tale assurdità è ancora più evidente se
applichiamo il metodo della predizione fisica e determinista. Infatti secondo il determinismo,
qualsiasi teoria come appunto il determinismo, si sostiene grazie ad una determinata struttura fisica
di colui che la sostiene o meglio del suo cervello. Di conseguenza noi inganniamo noi stessi e siamo
determinati a questo ogni qualvolta crediamo che esistano cose come argomentazioni e ragioni che
ci fanno accettare il determinismo” (18).
Tali considerazioni conducono all’ipotesi antitetica, dualista e interazionista, esposta nel libro L’io
e il suo cervello (19). Questa in realtà è la vera concezione del senso comune, secondo il quale
siamo composti di due livelli o entità, distinti nell’unità della nostra persona: il nostro cervello da
un lato e il nostro io cosciente o pensiero dall’altro.
La funzione dell’io è di importanza centrale per tutte le nostre esperienze consapevoli durante tutta
la nostra vita da svegli. Colleghiamo il nostro io nella memoria sin dalle prime esperienze
consapevoli. L’io ha un’esistenza inconscia durante il sonno e almeno parzialmente nei sogni, ma al
risveglio lo recuperiamo e lo colleghiamo al passato tramite la continuità della memoria.
Senza memoria non esisteremmo come persone capaci di esperienza. Siamo così di fronte al
problema riconosciuto tra gli altri da Cartesio stesso: come possano interagire mente cosciente e
cervello. - Alcune ipotesi relative al problema cervello-mente
Le teorie sulla relazione mente-cervello sostenute oggi dalla maggior parte di filosofi e
neuroscienziati sono materialistiche, attribuendo al cervello la completa supremazia di cui il
pensiero sarebbe mera secrezione come la bile dalla cistifellea.
Alcuni ritengono che il complesso meccanismo neurale del cervello funzioni in modo
materialisticamente determinato, come un meccanismo, a prescindere da una consapevolezza di
conoscere come da qualsiasi tipo di conoscenza, in termini di soli input e output. Per fare un
esempio: per tradurre da una lingua ad un’altra, noi cerchiamo di capire che cosa avesse in mente
l’autore e, quando crediamo di averlo capito, cerchiamo di esprimerlo nell’altra lingua; invece il
programma del computer si limita a trasformare una sequenza di stati fisico-chimici in un’altra
sequenza che, per il programmatore e per l’utente, corrispondono ai segni dei nostri linguaggi. Le
regole usate oggi dal calcolatore per elaborare i dati, limitate a sequenze di stati acceso-spento (1,
0), seguono l’algebra di Boole su una matematica a base binaria, che corrisponde alla logica
formale proposizionale dell’uomo. Questo accentua l’apparenza antropomorfa di questi processi, la
cui descrizione può venire data senza ricorrere al concetto di conoscenza.
Il limite della macchina è l’esigenza di arrivare all’output evitando un processo senza fine, mentre
la matematica umana ha molta familiarità con processi all’infinito. Questo obbliga la macchina a
fermarsi approssimando, e proprio questo fatto fece scoprire il problema della complessità, quando
ci si accorse che anche minime differenze potevano produrre effetti diversissimi ed anche contrari
tra loro. Il venir meno del determinismo meccanicista tipico dei primi secoli dalla rivoluzione
scientifica di Galileo, ha aperto la ricerca al mondo del caos, deterministico o meno, ed alle teorie
sulla complessità e l’emergenza di caratteristiche non riducibili alle proprietà delle parti di un tutto,
cercando di spiegare in questo modo quelle che chiamiamo conoscenza, intelligenza, coscienza.
Sembra però permanere l’atteggiamento di limitarsi alla considerazione di input ed output, il che,
nel confrontare il comportamento della macchina e dell’uomo, porta a domandarsi se si possa
attribuire conoscenza, intelligenza e consapevolezza del proprio conoscere alla macchina così come
li attribuiamo all’uomo (cfr. il test di Turing), anche se non siamo capaci di definire queste ultime.
In antitesi a queste teorie materialiste si pongono le teorie interazioniste dualiste, di tipo platonico o
cartesiano. Loro principale caratteristica è considerare mente e cervello come due entità
indipendenti, e tra loro interagenti. In opposizione al monismo materialista e alle teorie dualiste
(anche quelle contemporanee di Popper ed Eccles), Gianfranco Basti propone la soluzione duale
della unità psicofisica dell’uomo, che si ispira ad Aristotele e a San Tommaso (20).
Molto interessante a questo proposito è la teoria avanzata dal fisico Federico Faggin che, oltre che
essere il padre dei microprocessori, da anni si sta occupando del problema della coscienza. Nel suo
ultimo libro: “Irriducibile” (21), avanza l’ipotesi che la natura fondamentale della realtà sia
costituita da una parte immateriale con due aspetti complementari e irriducibili: lo spazio-C, che è
lo spazio semantico soggettivo della coscienza, e inseparabile da esso, lo spazio-I simbolico
oggettivo che contiene l’informazione viva in cui le unità di coscienza traducono in simboli
(artistici, linguistici o formalizzati con la matematica per esempio tra gli umani) una parte del
significato per comunicare tra di loro. Lo spazio-F è il mondo fisico sperimentato dalla coscienza,
che dipende dai sensi di cui è dotata la specie di organismo in cui essa è “incarnata”e dai suoi
qualia. Si noti però che nel pan-psichismo di Faggin (teoria QIP) c’è un livello di coscienza
presente in ogni ente, dalla particella elementare subatomica all’essere umano.
Le argomentazioni che avanza sono basate sulla profonda connessione tra la teoria
dell’informazione e la meccanica quantistica e sulla irriducibilità dello stato di coscienza. I suoi
studi sono ancora in corso in collaborazione con il prof. D’Ariano.
Un autorevole precedente, che conferma aspetti importanti delle opinioni di Faggin, è rappresentato
da quanto sir John Eccles (22) dichiarò in una intervista rilasciata a Pier Alberto Bertazzi nel corso
del Meeting di Rimini del 1986:
[…. Il più grande dei doni, nella nostra vita mentale, è l’immaginazione. Non pensate che sia
l’intelligenza, non fatevi imbrogliare. Il materialismo riduttivo voleva fare di noi tutti delle
macchine, programmate dal calcolatore o sul calcolatore. Beh, io stesso l’ho chiamato
“materialismo promettente”, che non mantiene le proprie promesse, poiché le risposte che
non potremo mai avere dimostrano che il cervello è un materiale che funziona in modo
meraviglioso, fra i più incredibili nella natura. Parallelamente, non potremo mai fare dei
modelli del cervello. Ogni essere umano è un mistero che non potrà mai essere spiegato con
la sola scienza. Non fatevi spaventare dalle pretese di alcuni scienziati che dicono che tra
poco tutto verrà ridotto a modello, spiegato in termini matematici; dobbiamo riprendere i
nostri destini, il nostro coraggio. Il Mistero ultimo sta di fronte a noi, che viviamo fin da ora
questo Mistero, e dobbiamo essere felici di viverlo. Invece di cercare un mondo di fatti
spiegabili, dobbiamo vivere nel mondo al di là del mondo, nel mondo della filosofia, del
pensiero religioso, della poesia. Il cervello è la base per questo, ma non è tutto.
Sullo stesso registro si pone Popper per il quale il materialismo promettente deriva dai progressi
delle neuroscienze sulla comprensione dei collegamenti tra i processi cerebrali e la percezione, la
memoria, il controllo dei movimenti e gli stati di coscienza e di incoscienza. Tali ricerche, di chiara
impronta riduttivistico-materialista, hanno l’obiettivo di spiegare in maniera esaustiva e coerente il
modo in cui l’intera attività e l’esperienza di un essere umano o di un animale possono essere
comprese in base all’azione dei meccanismi neurali del cervello.
Si tratta invero di programmi altamente ambiziosi dai quali ci si aspettano risultati importanti.
Rimane peraltro il dubbio sul rigore scientifico di un procedimento che parte dall’assunto della
equivalenza completa tra stati neurali del cervello e attività psichiche. Si noti infatti che:
“Tra alcune specie di mammiferi, in riguardo al volume cerebrale, esistono numerose
differenze evolutive. Per esempio, consideriamo due felini: il gatto selvatico e la tigre.
Nonostante che il cervello della tigre sia molto più voluminoso di quello di un gatto selvatico,
il relativo comportamento e le capacità cognitive dei due felini sono quasi identici e rimasti
cristallizzati nei secoli. All’evoluzione cerebrale (in particolare del volume cerebrale) tra
specie affini, non corrisponde differenziazione comportamentale e cognitiva” (23).
Ciononostante, il materialismo promettente sostiene che il progresso scientifico restringerà sempre
più il numero di fenomeni che sembrano richiedere una spiegazione mentalista, sì che alla fine si
potrà spiegare ogni cosa nei termini materialisti delle neuroscienze e la vittoria del materialismo sul
mentalismo sarà completa.
A tale proposito Popper ipotizza il seguente scenario futuro:
“la vittoria [del materialismo promettente] potrà verificarsi pressappoco così. Con il
progredire della ricerca sul cervello è probabile che il linguaggio dei fisiologi penetri sempre
più nel linguaggio ordinario e modifichi la nostra immagine dell’universo, compresa quella
del senso comune.
Parleremo quindi sempre meno di esperienze, percezioni, pensieri, credenze, progetti e scopi,
e sempre più invece di processi cerebrali, di disposizioni a comportarsi e di comportamento
manifesto. In questo modo il linguaggio mentalista passerà di moda e verrà usato soltanto
nelle relazioni storiche, oppure metaforicamente o ironicamente. Raggiunto questo stadio, il
mentalismo sarà morto e il problema della mente e del suo rapporto con il corpo risolto.
In passato questo fenomeno si è verificato innumerevoli volte con la riduzione di entità e fatti
al rango di superstizioni o miti.
La stessa cosa, ci viene promessa, accadrà con il linguaggio della mente: forse non proprio
prestissimo, forse neppure nello spazio di vita dell’attuale generazione, ma abbastanza
presto”.
A tale riguardo la critica di Eccles e Robinson è radicale:
“Ora noi consideriamo il materialismo promettente una superstizione senza fondamento
razionale. Più cose scopriamo sul cervello più siamo in grado di distinguere con chiarezza
gli eventi cerebrali dai fenomeni mentali e più straordinari ci appaiono ambedue. Il
materialismo promettente è soltanto un credo religioso sostenuto da materialisti dogmatici
che spesso confondono la loro religione con la loro scienza: una filosofia ingenua! Esso
possiede tutti i tratti di una profezia messianica, la promessa di un futuro libero da ogni
problema, una specie di Nirvana per i nostri sfortunati successori come scrive ironicamente
Gunther Stent nel suo libro The coming of the golden age” (24).
La strada corretta, secondo Popper, è invece quella di adottare un genuino atteggiamento scientifico
per far sì che i problemi sopra descritti si rivelino una miniera inesauribile di stimoli per
raggiungere una comprensione sempre più vasta e più profonda della natura di noi stessi. - Valutazione critica delle ipotesi cervello mente
Le varie forme di materialismo sostengono l’accordo tra le loro teorie circa il rapporto cervello-
mente e leggi delle scienze naturali come oggi le conosciamo. Tale pretesa è falsificata dalle due
considerazioni di un certo rilievo seguenti:
1) le leggi della fisica e delle scienze derivate, chimica e biologia, non fanno alcun riferimento alla
coscienza o alla mente, tranne che nel problematico ruolo dell’osservatore nei sistemi quantistici;
2) nel complesso apparato chimico, elettrico e biologico non vi è alcuna asserzione in leggi naturali
che indichi l’emergere di strane entità immateriali come coscienza o mente.
Questo non significa che la coscienza non emerga nel processo evolutivo, ma che la sua comparsa
non si deduce dalle leggi naturali nel modo oggi concepito dalla scienza.
Esse ad esempio non consentono di affermare che i livelli superiori della coscienza emergano a un
livello specifico di complessità sistematica come vorrebbero i materialisti, eccetto quelli radicali e
pan-psichisti. L’ipotesi pan-psichista secondo la quale in tutta la materia, e presumibilmente negli
atomi e nelle particelle sub-atomiche, risieda una qualche forma primordiale di coscienza -[vedere
teoria QIP di Faggin in (21)]- non trova alcun fondamento nella fisica.
A tale proposito vale la pena di osservare che secondo la Teoria Quantistica dei Campi (QFT),
teoria ormai fortemente consolidata nella fisica contemporanea di cui il Modello Standard delle
Particelle Elementari è la realizzazione che osserviamo in natura, le particelle elementari sono viste
come stati eccitati dello stato vuoto di un dato tipo di particella ad opera del corrispondente campo
quantistico.
Ora questo stato vuoto obbedisce al principio di indeterminazione di Heisenberg secondo il quale
non possono essere zero, simultaneamente, la durata della sua esistenza e l’energia, dando luogo
alle cosiddette fluttuazioni quantistiche del vuoto. Nel Modello Standard queste si possono
visualizzare come un brulichio continuo di coppie particella-antiparticella (elettrone-positrone,
quark-antiquark, ecc.) che normalmente si annichilano l’un l’altra in tempi brevissimi, durando
quanto permette il principio di indeterminazione. Talvolta però una terza particella (per es. un
fotone) può colpire la coppia e cederle l’energia necessaria per ‘promuoverla’ al rango di coppia di
particelle reali.
Dunque, a fondamento del fenomeno dell’emergenza della materia, non stanno solo la massa-
energia associata alle particelle bensì i loro campi quantistici che, fornendo le regole sulla loro
comparsa sono non materia ma piuttosto informazione, e tale informazione appartiene alla sfera
dell’immateriale. Tutto ciò indica una forma di causalità della materia che emerge dallo spirito,
assegnando pertanto al mentale, in questo rapporto cervello-mente, lo status di primum.
Si può anche menzionare il problema posto acutamente dai fans dei computers: a quale livello di
complessità e attività saremmo disposti ad attribuire coscienza a un computer?
A questa domanda carica di significato emotivo si può rispondere negativamente che possiamo
fare ciò che vogliamo ad un computer senza che ci assalga lo scrupolo di essere crudeli. Esso –
vedi il già citato lavoro (21) di Federico Faggin- è una semplice cosa o artifizio umano, che
compie operazioni inimmaginabili per l’uomo, pur non sapendo né che cosa fa né perché,
mancando tale “cosa” sia di percezione che di appercezione auto-consapevole, se non quella in
essa operativamente inserita dall’uomo.
Tutte le teorie materialiste della mente sono in conflitto con l’evoluzione biologica in quanto tutte
asseriscono l’inefficacia causale della coscienza simpliciter, non fornendo alcuna spiegazione della
crescita evolutiva della coscienza che, come fatto, è innegabile. La comparsa della coscienza infatti
è in relazione con un progressivo sviluppo accompagnato da una crescente complessità del cervello.
Secondo la prospettiva evoluzionista nella selezione naturale, caratterizzata da specifici adattamenti,
si svilupperebbero soltanto strutture e processi finalizzati alla mera sopravvivenza.
Se la coscienza è impotente dal punto di vista causale il suo sviluppo non può spiegarsi dalla teoria
dell’evoluzione. In base ad essa stati mentali e coscienza avrebbero potuto evolversi e svilupparsi
soltanto se avessero rivelato efficacia causale, atta a produrre cambiamenti nella attività neurale del
cervello e di conseguenza nel comportamento. Questo è quanto afferma la teoria duale secondo la
quale il cervello è aperto a influenze degli eventi mentali che appartengono al mondo delle
esperienze consce.
La critica più efficace che si può rivolgere a tutte le teorie materialiste della mente riguarda il loro
postulato chiave per il quale l’attività neurale del cervello fornisce una spiegazione necessaria e
sufficiente sia dell’attività sia dell’esperienza conscia di un essere umano. Esse ritengono ad
esempio che l’esecuzione di un movimento volontario come anche qualsiasi altra esperienza
volitiva sia completamente determinata da eventi nell’apparato neurale del cervello.
Si ragiona in termini che riducono la spiegazione a causa efficiente che trasforma e materiale che
viene trasformato. In realtà il discorso andrebbe ampliato. Scrive Norbert Wiener (25): “La
retroazione […] è una caratteristica assai generale di tutte le forme di comportamento. Nella sua
forma più semplice, il principio di retroazione significa che il comportamento viene periodicamente
confrontato con il risultato da conseguire, e che il successo o il fallimento di questo risultato
modifica il comportamento futuro.”
Nota in proposito Eugenio Sarti, commentando questa citazione (26): “Così il discorso di Wiener
introduce relazioni mezzo-fine in un mondo tecnico che era abituato a ragionare
(meccanicisticamente, direbbe Husserl) soltanto in termini di rapporti causa-effetto.”.
In sede critica, notiamo che anche in Popper e nel suo confutare il materialismo è in atto e
adoperato il principio di identità e non contraddizione il quale mostra che mentre si nega una tesi lo
si fa affermando la stessa, auto-confutandosi.
Ne viene una vera e propria riduzione all’assurdo: critica applicabile a tutte le teorie
materialistiche:se tutto fosse materia, anche tale affermazione si ridurrebbe a una decalcomania
tautologica. Tutto è materia perché frutto di materia, il che ci costringe a prendere in considerazione
la spiegazione dei rapporti mente-cervello proposta dalla teoria integrazionista e dualista, pur se
essa avanza la richiesta che vi sia comunicazione reciproca in entrambe le direzioni.
Merita di essere presa in considerazione la teoria duale e non materialista di Gianfranco Basti:
Dell’antropologia duale viene offerta anche una fondazione fisico-matematica basata sulla
distinzione energia-informazione, che definisce il vivente e l’uomo in particolare come un sistema
“aperto” in continuo scambio reciproco di energia e informazione con l’ambiente fisico e
interumano. Questo fa sì che la mente e le sue funzioni superiori (intelletto e volontà) si collochino
non “nel” cervello, ma nell’interfaccia del cervello col proprio ambiente, dando alla nozione di
“persona” come individuo aperto alla relazione intersoggettiva una fondazione che – contro la
schizofrenia moderna dei dualismi tra “materia” e “spirito”, fra “fisico” e “metafisico”, fra
“scienza” e “umanesimo” – è in grado di abbracciare in una sintesi armoniosa il meglio della scienza
moderna con il nucleo delle grandi tradizioni metafisiche, al di qua delle successive distinzioni di
fede e cultura. - L’unità dell’io
La presenza di un’unità mentale che ognuno di noi riconosce come continua, sin dai primi ricordi è
un’esperienza soggettiva universale ed essa è la base del concetto dell’io. Alcune ricerche
sperimentali sull’unità dell’io sono state discusse nel libro La psiche umana di Eccles (Springer
International, 1980).
Come il neuropsicologo Robinson [Cfr. (16) e (28)] ha mostrato altrove (27) il tentativo di
identificare l’io con la memoria e la continuità dei ricordi incontra molte insuperabili obiezioni. Un
paziente colpito da amnesia totale può non ricordare chi egli sia, come qualunque altra cosa della
sua vita precedente, ma di sicuro sa, perché lo vede, che egli è e quindi sa di avere una personalità.
Ancora, che una persona ricordi di aver fatto qualcosa non dice che essa l’abbia fatta veramente,
perché i ricordi possono essere difettosi e anche illusori. Ergo, l’io non è di certo identico alla
memoria. Da qui la necessità di distinguere tre concetti di io: il concetto di io, di auto-identità, di
identità personale, dunque tre modalità coscienziali. L’io e la sua unità nascono dall’irriducibile
consapevolezza di essere, di conoscere e di volere, cioè di intendere il vero e di volere il bene.
Ognuno è consapevole di essere e sa che tutte le sue esperienze, ricordi, pensieri e desideri
ineriscono a questo stesso io originario.
L’auto-identità riguarda invece la conoscenza di chi siamo e si basa principalmente sulla memoria.
Ergo un dato io, affetto da amnesia, può non avere auto identità. Infine l’identità personale si
riferisce alla conoscenza che gli altri hanno di chi sia una data persona che incontrano
nell’esperienza come diversa da qualsiasi altra. - Unicità di ciascun io
Senza dubbio ogni persona umana riconosce la propria unicità rispetto agli altri. Quando
ricerchiamo i fondamenti di tale consapevolezza la neurofisiologia non è ancora in grado di dare
una risposta.
Restano solo due possibilità: il cervello e il mentale. I materialisti accetteranno la prima mentre i
dualisti interazionisti considereranno l’io e il mondo psichico come l’entità che ha esperienza di
unicità.
La soluzione solipsistica dell’unicità dell’io è fuori gioco perché l’esistenza di altri io è attestata
dalla comunicazione inter-soggettiva.
Se attribuiamo l’esperienza di ciascun io alla unicità del suo cervello costruito secondo le particolari
istruzioni genetiche dei suoi genomi, come è stato mostrato dalle argomentazioni di Eccles,
Jennings, Thorpe, ci troviamo di fronte a una lotteria genetica dalla quale è derivato il genoma di
ciascuno. E’ inoltre impossibile spiegare l’unicità che ciascuno di due gemelli omozigoti esperisce
nonostante l’identità dei due genomi.
A questo enigma alcuni rispondono che il fattore determinante è l’unicità delle esperienze vissute da
ciascuno durante la sua vita. Si può ammettere che il nostro comportamento, i nostri ricordi e
l’intero contenuto della nostra vita interiore cosciente dipendano dalle esperienze accumulate nel
corso della vita. Tuttavia, per quanto radicale sia il cambiamento che può verificarsi nelle diverse
contingenze di momenti decisivi, ciascuno di noi rimane ancora il medesimo io, consapevole della
propria esistenza.
Ora, se le soluzioni materialiste non spiegano l’unicità esperita da ognuno di noi, Eccles osserva che
siamo costretti ad attribuire l’unicità della psiche o dell’anima ad una creazione spirituale di natura
quindi metafisica (28).
Per dare la spiegazione in termini teologici e metafisici, nel momento della generazione c’è anche
l’intervento creatore di Dio (29). È questa una certezza di ordine metafisico del nucleo più intimo
dell’individualità che rende necessaria la “creazione divina”. Non un’estrapolazione indebita di
livelli conoscitivi, ma una vera “metabasis eis to allo ghenos” imposta dalla conoscenza della realtà
effettiva. - Il metodo di Pascal quale “metodo del paradosso”o dimostrazione per assurdo
Si può aggiungere a sostegno dell’ipotesi creazionista dell’anima della persona umana il metodo del
paradosso o dimostrazione per assurdo di Pascal.
Come scrive al riguardo E. Cassirer in La filosofia dell’illuminismo (30), la paradossalità della
metodica di Pascal, il contrasto fra risultato e procedimento mediante il quale viene raggiunto,
appaiono evidenti. L’incomprensibile – in questo caso il mistero del male e del peccato originale – si
rivela come condizione necessaria dello stesso “intelligere”. Questo argomento, prosegue lo
studioso tedesco, Pascal lo desume dalla medesima sua esperienza scientifica: cioè il concetto che,
nel campo delle verità di fatto, quello che decide della validità di un’ipotesi o di una teoria non è la
sua intrinseca intelligibilità, ma la sua capacità di dar ragione dei fenomeni (31). Analogamente
quello dell’anima umana è certo un fatto incomprensibile sul piano fenomenico e scientifico, ma è,
d’altro canto, una dottrina capace di spiegare duplicità e contraddittorietà dell’uomo.
Rifiutarsi di ammetterne la possibilità significa rinunciare ad una proposta per rendersi conto della
realtà data e quindi contraddire gli stessi principi della ragione (32). - Conclusione
Per coscienza e consapevolezza di sé non intendiamo qualsiasi capacità di conoscere le proprie
conoscenze, come qualsiasi vivente dotato di memoria è capace di fare. Intendiamo una capacità di
conoscere capace di cogliere il proprio agire e pure l’agire delle altre capacità di conoscere. Platone
notava che la vista non può vedere il suo atto, che non è colorato (Carmide, 167 d). La capacità di
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conoscere qualcosa solo perché è qualcosa è invece consapevole del proprio agire, che è qualcosa.
La chiamiamo “intelletto”.
L’intelletto umano è fatto per conoscere ciò che può osservare coi sensi. Conosce giudicando, e ciò
che conosce di ciò che studia è espresso da nomi atti ad essere predicati anche di altri soggetti: nomi comuni (o “universali”), che ci permettono di ragionare. Per questo fu chiamato “ragione”. Le
proprietà del ragionare non sono proprietà dell’intelletto in quanto tale, ma dell’intelletto umano.
Da millenni gli uomini hanno parlato di intelligenze non umane, che conoscono senza giudicare e
sono presenti a se stesse. Non è corretto parlare di “Intelligenza artificiale”. Si dovrebbe dire
“Razionalità artificiale”.
La coscienza come “irriducibile” fattore umano, per dirla con Faggin, darebbe torto, tra gli altri, a
Nietzsche quando sostiene che l’umanità è un pregiudizio di cui gli altri animali sono felicemente
privi. Come d’altra parte falsificherebbe l’invito riduttivista a liquidare la questione coscienza con
Skinner, quando questi afferma che: “un io è un repertorio di comportamenti appropriati a un
determinato insieme di contingenze per le quali all’uomo in quanto uomo diciamo volentieri buon
viaggio” (33).
Molto infatti, se non quasi tutto, ci dice che così non è né può essere e che la negazione della
coscienza in generale, intesa come consapevolezza e auto-consapevolezza delle cose tutte e come
coscienza morale in particolare, equivarrebbe all’abolizione dell’uomo nella sua umanità.
Prospettiva teoreticamente impensabile senza contraddizione e praticamente invivibile senza
assurdità. Per questo tali briciole di riflessione filosofica chiudono e insieme aprono una ricerca
sulla coscienza umana e sulle sue forme specifiche. Una ricerca che, sondando l’esperienza
cosciente nei suoi aspetti biofisici del suo rapporto mente-cervello riesca positivamente a superare,
se non tutte, almeno le più gravi difficoltà sopra delineate per recuperare l’esperienza della
coscienza propria della struttura originaria dell’uomo come e in quanto persona umana nella sua
singolare universalità. In proposito è utile ricordare quanto osserva V. Havel: “Non c’è niente da
fare: la vera coscienza e la vera responsabilità sono sempre alla fine spiegabili solo come
un’espressione di una sottile premessa: che, bene o male, siamo veramente osservati dall’alto, che
lassù si vede tutto e niente viene dimenticato e che, quindi, non è nel potere del tempo di cancellare
dall’anima il rimorso di essere falliti in questo mondo: infatti la nostra anima intuisce di non essere
sola a sapere di tale fallimento” (34).
La coscienza non è soltanto consapevolezza dei nostri fallimenti, ma esprime anche quanto dice
nell’ “Inno alla gioia” Schiller: “Fratelli sopra il cielo stellato / deve abitare un padre affettuoso /
[…] Cercalo sopra il cielo stellato! / sopra le stelle deve abitare”. La voce della coscienza morale ci
chiama dunque a rispondere su vero e falso, bene e male, giusto e ingiusto, a giudicare e decidere
secondo la libertà del vero bene che rende buoni e giusti, degni di felicità da un oltre rispetto a
questo mondo che non può non essere che di salvezza e di giustizia, anzi di salvezza nella giustizia.
INDICE - Coscienza e consapevolezza di sé tra scienza e metafisica
- La persona umana
- Cervello, psiche e libertà di vita e di pensiero umani
- Alcune ipotesi relative al problema cervello-mente
- Valutazione critica delle ipotesi cervello mente
- L’unità dell’io
- Unicità di ciascun io
- Il metodo di Pascal quale “metodo del paradosso”o dimostrazione per assurdo
- Conclusione
Note
(1). Karl POPPER in collaborazione con J. ECCLES, L’io e il suo cervello, 1. Materia, coscienza e cultura, Armando
editore, Roma 1981, passim.
(2). Cfr. J. RIES, Preistoria e immortalità, tr. R. Nanini, Jaca Book, Milano 2012.
(3). I. KANT, Monadologia Physika, in Gesammelte Werke, Berlin, passim.
(4). Cf nota 1
(5). G. M. EDELMAN, G.TONONI, A Universe of Consciousness. How matter become imagination, Basic Books, New
York, 2000.
(6). G. TONONI, An Information Integration Theory of Consciousness. BMC Neuroscience 5: 42-64, 2004.
(7). C. MC GINN, The Problem of Consciousness, Blackwell, Basel, 1991.
(8). J.R. SEARLE, Mind. A Brief Introduction, Oxford University Press, 2004. Ed.it., La mente, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2005
(9). K. GÖDEL, Collected works, Vol. III, Oxford University Press, Oxford, 1995.
(10). J. HAWKINS, S. BLAKESLEE, On Intelligence, Henry Holt, New York, 2004.
(11). G. ISRAEL, La macchina vivente. Contro le visioni meccanicistiche dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
(12). Informazioni sul progetto Blue Brain, in corso all’Università di Losanna, sono disponbili al sito HYPERLINK
“http://bluebrain.epfl.ch/” http://bluebrain.epfl.ch/.
(13). I. LICATA, La logica aperta della mente, Codice edizioni, Torino, 2008. R. PENROSE, The Emperor’s NewMind:
Concerning Computers, Minds and The Laws of Physics, Oxford University Press, 1990. Ed.it., La mente nuova
dell’imperatore, Rizzoli, Milano, 1992.
(14). D. CHALMERS, The Conscious Mind, Oxford University Press, Oxford, 1996.
(15). Konrad LORENZ, Salvate la speranza, un testamento spirituale in difesa dell’uomo e della natura, Armenia
editore, Milano 1989, p. 173.
(16). J.C. ECCLES – D.N. ROBINSON, La meraviglia di essere uomo, Armando, Roma 1985, p. 72.
(17). Karl POPPER, Nuvole ed orologi, in Conoscenza oggettiva, pp. 293-294: “l’intero mondo con ogni cosa in esso
contenuta, è un immenso automa nel quale noi non siamo altro che piccole ruote di ingranaggio o nel migliore dei casi
dei sub-automi all’interno di esso”. […] “il determinismo fisico – forma di riduttivismo ontologico -, distrugge in
particolare l’idea di libertà e di creatività. Riduce a una totale illusione l’idea che nel preparare questo saggio, io abbia
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fatto uso del mio cervello per creare qualcosa di nuovo. Questo saggio, secondo il determinismo fisico non implica altro
se non che certe parti del mio corpo hanno messo dei segni neri su della carta bianca, sicché qualsiasi fisico, provvisto
di un’informazione sufficientemente dettagliata, avrebbe potuto scrivere il mio saggio attraverso il semplice metodo di
predire gli spazi precisi su cui il sistema fisico di cui consiste il mio corpo (inclusi, ovviamente, il mio cervello e le mie
dita) e la mia penna avrebbero messo quei segni neri.”
(18). Karl POPPER, ibid. p. 294.
(19). Cfr. nota n. 1
(20). Cfr. Gianfranco BASTI, Il rapporto mente-corpo nella filosofia e nella scienza, ESD, Bologna,1991. (cfr. in
particolare pp.236 ss.)
(21). Federico FAGGIN, Irriducibile: La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori, 2022, p.259.
Vedere anche le pp. 201 e 225.
(22). Sir John Carew Eccles (1903 – 1997) è stato autore di scoperte fondamentali sulla fisiologia dei neuroni per le
quali, nel 1963, ebbe il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia.
(23). Giuseppe Costantino BUDETTA, Termodinamica, Campi Quantici e Funzioni Mentali. HYPERLINK
“https://www.neuroscienze.net/2010/06/20/” https://www.neuroscienze.net/2010/06/20/
(24). Gunther S. STENT, The Coming of the Golden Age, Published for the American Museum of Natural History by
Natural History Press, Garden City, N.Y., 1969. Cfr. Karl POPPER e J. ECCLES, L’io e il suo cervello, 3 voll., Armando,
Roma 1981, vol.1, pp. 121-122.
(25). N. WIENER, Introduzione alla cibernetica, Boringhieri, Torino 1953, p. 84.
(26). E. SARTI, L’albero senza radici, EDB, Bologna 2001, p. 69.
(27). D. N. ROBINSON, Cerebral Plurality and the Unity of Self, American Psychologist, Agosto 1982.
(28). J. C.ECCLES, D. N. ROBINSON, op. cit., p. 54. (Cfr. ARISTOTELE, De generatione animalium, II, 3).
(29). Ibidem
(30). Cfr. E. CASSIRER, La filosofia dell’illuminismo , traduzione di E. POCAR, Firenze 1935, p. 202-4. Vedi anche B.
PASCAL, Pensieri, Einaudi, Torino 1962, pensiero 456, nota 2 p. 202.
(31). Ibidem
(32). Ibidem
(33). Cfr. B.F. SKINNER, Oltre la libertà e la dignità, Mondadori, Milano 1973, p. 231.
(34). V. HAVEL, Meditazioni estive, Feltrinelli, Milano, 1992, p. 14.
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