Perché Protagora è importante?
La posizione di Protagora ci è nota soprattutto attraverso Platone, che ne ha fatto il protagonista di uno dei suoi dialoghi.
La tesi centrale di questo pensatore è contenuta nella celebre frase, che secondo Diogene Laerzio rappresentava l’incipit di uno dei suoi libri:
«l’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono»
Per comprendere il senso di questa frase bisogna tener presente che l’uomo secondo Protagora conosce solo attraverso i sensi: non esiste una forma di conoscenza razionale distinta o addirittura contrapposta a quella sensibile.
Questo vuol dire che per Protagora viene soppressa quella distinzione o addirittura separazione tra le due forme di conoscenza (razionale e sensibile) che era stata intuita dai filosofi precedenti, sia ionici (come per esempio Eraclito) sia italici (come Pitagora o Parmenide): il «logos» perde i significati che aveva in Eraclito e Pitagora e si riduce a essere semplicemente la «parola» che esprime e indica ciò che viene conosciuto dai cinque sensi.
Il problema è però che i sensi sono diversi da individuo a individuo: perciò le conoscenze che ne ricaviamo sono anch’esse diverse da individuo a individuo e non possono essere confrontate le une con le altre.
Per usare la terminologia moderna, le esperienze fornite dai sensi sono dei qualia, ossia dei contenuti di coscienza propri di ciascun individuo. Poiché ciascun individuo conosce solo i propri qualia e non può vivere l’esperienza degli altri individui, ciascuna persona vive un mondo in qualche modo separato da quello vissuto dalle altre persone e non confrontabile con esso.
Poiché quindi secondo Protagora le conoscenze sono relative al soggetto conoscente (ossia esistono solo in relazione al soggetto, e quindi sono diverse a seconda dei diversi soggetti che le hanno), la sua posizione è diventata nota in seguito come «relativismo gnoseologico» (naturalmente al tempo di Protagora nessuno usava una espressione come questa! Secondo il Dizionario etimologico della lingua italiana della Zanichelli, il termine «relativismo» nel significato specifico di «dottrina della relatività della conoscenza» appare solo nel 1905 nel Dizionario di scienze filosofiche di Cesare Ranzoli).
In altre parole, non esiste una «verità» oggettiva che possa fungere da punto di riferimento per le esperienze dei singoli parlanti: se una cosa «appare» a me in un certo modo, essa «è» per me in quel modo.
L’esempio preferito dai greci per indicare questa situazione è quello del gusto: un certo cibo appare al gusto «dolce» per me che sono sano, e quindi «è» dolce; ma lo stesso cibo può apparire «amaro» a un malato (o a me stesso in un altro momento, quando sarò a mia volta malato). Non è possibile uscire da questa situazione e arrivare a una conoscenza «oggettiva» che stabilisca una volta per tutte se il cibo è amaro o dolce: esistono solo «opinioni» (doxai), non «verità».
In un altro dialogo di Platone, il Teeteto, troviamo la tesi secondo cui per Protagora «ogni sensazione è sempre vera» [Teeteto, 167a].
Secondo Protagora non è possibile uscire dal punto di vista del singolo e raggiungere un punto di vista più ampio, che tenga conto delle opinioni degli altri; men che meno è possibile raggiungere un punto di vista che sia «assoluto», cioè slegato dalle opinioni dei singoli e superiore ad esse.
Si pone naturalmente un grave problema quando le doxai, cioè le opinioni, i punti di vista dei singoli su un certo fatto non coincidono: come si può trovare un accordo? Dal momento che non esiste una verità di ordine superiore alle singole esperienze sensibili che possa fungere da criterio per distinguere le opinioni vere da quelle false, e dato che non è possibile trovare un terreno comune nemmeno all’interno delle esperienze sensibili, l’unica possibilità sembra che ciascun parlante si sforzi di convincere gli altri interlocutori che la propria posizione sia migliore.
Il problema in realtà si sposta: in base quale criterio è possibile stabilire che le proprie idee sono migliori di quelle degli altri, dato che lo stesso Protagora ha escluso la possibilità di trovare qualcosa di oggettivo e «vero»? La risposta del sofistès è che le opinioni vanno valutate in base all’«utile», anche se poi non viene chiarito in che modo si possa stabilire che qualche cosa possa essere più utile di un’altra.
Rimane quindi solo la potenza della parola, che riesce a persuadere l’interlocutore grazie alla propria capacità quasi magica di insinuarsi nella sua coscienza.
Si dice che Protagora quando arrivava in una città organizzava una specie di dibattito in due giornate: nella prima giornata affrontava una serie di argomenti dimostrando in modo invincibile per ciascuno di essi la validità di una certa posizione; nella seconda giornata discuteva di nuovo gli stessi argomenti proponendo però, in un modo altrettanto invincibile, una posizione opposta a quella difesa il giorno procedente. Protagora avrebbe raccolto questi argomenti in un libro che aveva come titolo Antilogie, ossia «Discorsi contrapposti», che sfortunatamente è andato perduto.
Se non è possibile stabilire la verità delle cose, a maggior ragione non è possibile neppure stabilire la verità sugli dei: sembra che Protagora abbia consapevolmente sostenuto una posizione agnostica, ammettendo che sul tema delle divinità non sia possibile dire nulla, e in particolare che non sia possibile né sostenere la sua esistenza sia la sua non esistenza.