Gorgia

Autore: Martino Sacchi
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Gorgia di Lentini è famoso per aver portato alle estreme conse­guenze la polemica contro gli eleati. Le sue opere più famose sono Il non essere e l’Encomio di Elena, che non ci sono giunte in originale ma solo attraverso i riassunti di logografi posteriori come Sesto Empirico.

Nella prima veniva aggredito il cuore stesso della riflessione logica di Parmenide, sostenendo tre tesi collegate le une alle altre (anche se non in modo rigido e assoluto):

• l'essere non è
• se anche fosse non sarebbe conoscibile
• se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile.

Perciò le tesi eleatiche o sono false o sono inutili. In ogni caso, come vedremo più avanti, quello che rimane è solo ed esclusiva­mente la potenza persuasiva della parola parlata.

La prima tesi gorgiana (l’essere non è) è un attacco diretto a Parmenide. Gorgia sostiene espressamente la falsità della tesi centrale del pensiero parmeni­deo, secondo cui «l’essere è». Non si limita quindi a risolvere l’aporia eleatica insistendo sul lato della conoscenza sensibile, ossia ammettendo come valida solo questa forma di conoscenza, come aveva fatto Protagora, e non cerca nemmeno di trovare un compromesso tra le esigenze della ragione e quelle dei sensi distinguendo all’interno della realtà due piani diversi, uno originario e fondamentale e uno secondario e derivato, come avevano fatto i cosiddetti filosofi pluralisti.

La sua argomentazione assume la forma di quello che, usando la terminologia successiva, si potrebbe chiamare sillogismo ipotetico disgiuntivo.
Questo tipo di ragionamento funziona schematicamente così:

  • se A è, allora o è B o è C
  • ma non è né B né C
  • quindi non è neppure A

Questo modo di ragionamento può essere utilizzato per dimostrare la falsità di una proposizione mostrando che partendo da essa sono possibili due sole conclusioni e che entrambe sono false.
Il sillogismo è ipotetico perché muove dalla semplice ipotesi che la proposizione che si vuole discutere sia vera: noi in realtà non sappiamo ancora se le cose stanno veramente così.
Il ragionamento poi è disgiuntivo perché le conseguenze che si ricavano dalla premessa ipoteticamente assunta come vera possono essere solo due: o è l’una o è l’altra, non è ammessa una terza alternativa.
Se entrambe queste conseguenze si dimostrano false, anche la premessa ipotetica deve essere rifiutata.

Nel caso del «non essere» di Gorgia, il ragionamento era questo:

  • ammesso che l’essere sia, esso deve essere o uno o molteplice;
  • ma siccome non è né uno né molteplice,
  • allora non può nemmeno esistere.

Per dimostrare che l’essere non può essere uno, secondo Gorgia è sufficiente far riferimento alla molteplicità degli enti esistenti, testimoniata dai sensi: basta guardarsi attorno per rendersi conto che esistono molti «esseri» (il tavolo, la penna, il computer e così via), e quindi non è possibile ammettere che l’essere sia «uno» come voleva Parmenide.
Tuttavia l’argomentazione di Gorgia non vuole limitarsi a questa semplice (e per molti versi banale) accusa a Parmenide: il suo obiettivo è mostrare che anche proprio questa ipotetica soluzione (l’essere è il molteplice delle cose esistenti) è falsa perché contraddittoria.
Per dimostrare che l’essere non può nemmeno essere molteplice, è necessario formulare un secondo sillogismo ipotetico disgiuntivo.
Se infatti l’essere è molteplice, questa molteplicità potrà essere solo o finita o infinita, ovvero il numero degli enti che compongono l’essere può essere o di numero finito oppure infinito.
In quest’ultimo caso, la divisione dell’essere in un numero infinito di parti porterebbe alla sua parcellizzazione totale, rendendo impossibile ricostruire la totalità di partenza: una somma di parti infinitamente piccole non può dare come risultato qualcosa di concreto.
Ma d’altra parte neppure se noi scegliessimo di dire che l’essere è composto di un numero finito di parti semplici ci metteremmo al sicuro da ulteriori obiezioni, perché si potrebbe sempre dire che, dato un qualsiasi elemento come punto di partenza per la composizione dell’essere, esso dovrebbe sempre poter essere divisibile: è quindi impossibile trovare un «elemento primo» che possa fungere da «mattoncino» di tutta la realtà.

Poiché l’essere non può essere né uno né molteplice, e poiché non ci sono altre alternative logicamente possibili, bisogna concludere che l’essere non è.

Ma se anche fosse vero, contrariamente alle conclusioni appena raggiunte, che l’essere esiste, esso non sarebbe ugualmente conoscibile, secondo Gorgia. Noi infatti conosciamo la realtà tramite rappresentazioni e immagini, alcune delle quali sicuramente false, come per esempio il carro di Giove. Chi ci assicura che anche le altre rappresentazioni non siano false?

E se anche noi potessimo conoscere con certezza il mondo attorno a noi, non potremmo mai comunicare con gli altri in modo tale da evitare ambiguità e incomprensioni.

Se il progetto eleatico viene smantellato dalla dialettica gorgiana, viene a cadere anche la possibilità di mantenere la «sequenza intenzionale» che sta alla base del progetto parmenideo (la parola autentica veicola il pensiero e il pensiero manifesta l’essere). La parola rimane quindi svincolata dall’essere e perde ogni pretesa di manifestare la verità (che non esiste): quello che le rimane è la pura capacità di persuadere chi ascolta.

È questa la tesi che pervade e sostiene il secondo testo di Gorgia: L’encomio di Elena contiene la difesa della sposa di Menelao che si lasciò sedurre da Paride e così venne additata come la causa scatenante della guerra di Troia. In realtà, sostiene Gorgia, Elena non ha nessuna colpa: nessuno può resistere alla potenza seduttiva della parola.

È fondamentale ricordare che con Gorgia siamo ancora nella fase di passaggio dalla dimensione orale della cultura a quella scritta.

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