Io vengo da una scuola e da un secolo in cui il concetto di selezione era considerato normale, almeno a livello concettuale. Il discorso (in teoria) era semplice: se studi vieni promosso, se non studi vieni bocciato. Naturalmente c’erano molti corollari, più o meno idealizzati: per esempio, che le persone con i voti migliori avrebbero attraversato con ottimi risultati l’università e poi avrebbero trovato un buon lavoro.
Il concetto di “selezione” non è in sè sbagliato. Avrà sempre un fortissimo punto d’appoggio, che è il riferimento alla “selezione naturale”. Chi sostiene che bisogna selezionare i ragazzi di una scuola tenendo solo quelli “migliori” potrà sempre sostenere che “anche in natura succede questo” e che comunque “certamente anche nel mondo del lavoro succede questo”: perciò, in una sorta di applicazione del proverbio “Non c’è due senza tre”, anche nel mondo della scuola si deve procedere selezionando i ragazzi.
Ripeto: è vero. Il sistema della selezione ha una sua razionalità e una sua motivazione. Il problema è che ha anche molti limiti e soprattutto grandi costi, che nella nostra società sono semplicemente insostenibili.
In effetti la selezione naturale rappresenta un enorme spreco di risorse. Tutti i singoli individui che vengono eliminati nel processo sono comunque arrivati a un certo punto del loro sviluppo, assorbendo e consumando energie e risorse che vanno perse con la eliminazione dell’individuo. “La Natura è crudele”, si dice per giustificare questo spreco (per fortuna la Natura non esiste: ma questo è un altro discorso, che non intendo fare qui). In effetti il DNA si riproduce sempre e quindi in realtà non importa proprio se le soluzioni pratiche che vengono adottate (le forme concrete che assumono gli esseri viventi) si dimostranoa un certo punto sbagliate: purché rimanga anche solo un frammento di DNA, la vita ripartirà sempre, anche dopo una catastrofe nucleare.
Nella società dei secoli scorsi esisteva una tale massa di materia prima per l’educazione (ossia di studenti) che si poteva tranquillamente utilizzare il sistema della selezione: “bocciamo senza pietà” si poteva dire “perché in questo modo saremo sicuri che quelli che sono sopravvissuti alle nostre pressioni saranno in grado di reagire in modo adeguato anche alle pressioni del mondo esterno, quello del lavoro e della vita”.
Nel mio liceo in passato abbiamo preso sul serio questa impostazione: siamo arrivati anche a 13 tra bocciature a giugno, bocciature a settembre e ritiri in una sola classe (una terza scientifico), e fu considerato un successo, perché “il resto” proseguì con risultati buoni o addirittura ottimi. Ma negli anni Novanta il mio liceo era, appunto, l’unica scuola superiore della zona insieme a un ITIS e a un Istituto commerciale. Tutti i ragazzi che finite le medie volevano proseguire gli studi proponendosi di andare all’università venivano da noi, senza considerare la loro preparazione o le loro attitudini: e di conseguenza si scontravano malamente con il sistema, che era concepito come un crivello per, appunto, “selezionare” quelli che si supponeva sarebbero stati i “migliori”.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata.: semplicemente, non ci sono più studenti.
Insistere a voler avere tassi di bocciatura del 20% per classe sarebbe suicida, nel senso che letteralmente si chiuderebbe la scuola (non ho ancora detto che dopo la sciagurata riforma Moratti per cui le scuole, a somiglianza degli ospedali, devono essere considerate delle “aziende”, sono stati imposti dei limiti rigidi al numero di studenti per classe, sotto i quali le classi vanno accorpate per risparmiare sul numero – e quindi sugli stipendi – dei docenti. Perciò se si boccia troppo interviene d’ufficio l’Ufficio Scolastico Regionale competente ad accorpare le classi. Sotto un certo numero critico, la scuola viene chiusa e le classi accorpate ad altri istituti.).
Un criterio di “selezione” applicato con la sensibilità del secolo scorso avrebbe l’effetto di un bombardamento al napalm in una foresta. Certamente ci sarebbero dei sopravvissuti ma sarebbero così pochi che non potrebbero sopravvivere a lungo.
Deve essere ben chiaro però che con questo non voglio nemmeno dire che “bisogna promuovere tutti”, intendendo questa affermazione col significato deteriore che le affibiano coloro che si schierano sul versante del sistema della selezione (la Paola Mastrocola, per intenderci). Per potersi muovere nel mondo senza correre il rischio di farsi male bisogna conoscerlo e bisogna conoscere le sue leggi: studiare e studiare bene sono sempre la condizione basilare per evitare di essere massacrati (in tutti i sensi che vi vengono in mente).
La selezione esiste veramente e prima o poi interviene sempre: la realtà pone delle sfide e dei limiti che vanno rispettati e, di nuovo, per poterlo fare bisogna prima conoscerli. Studiare, e studiare bene, rimane il punto essenziale. Non si può costruire un ponte a casaccio, confidando che stia su in ogni caso, e non si può operare un corpo alla cieca, sperando che la fortuna ti assista. Studiare serve davvero e bisogna farlo davvero bene. Quando dico che bisogna “studiare bene” intendo difendere il sistema italiano e in particolare quello dei licei italiani, per il quale la scuola deve essere a 360° e permettere di farsi una idea chiara di tutti gli ambiti, anche quelli che apparentemente sono “inutili” per il lavoro. Tutto questo significa fatica, impegno, dedizione, tempo: non c’è alcun dubbio.
La risposta dei difensori del sistema della selezione più o meno suonerebbe così: “Ma non tutti sono adatti a studiare” e quindi non solo è necessario ma è anche un atto di bontà espellere dal sistema coloro che non sono capaci di adattarvisi.