A chi è interessato

Comincia un unovo anno scolastico, quello che verrà burocraticamente registrato come “anno scolastico- 2024-25”.

Tra le molte problematiche che guideranno questi mesi, certamente le polemiche sulla cosiddetta “intelligenza artificiale” avranno un peso di primo piano.

Io sostengo che la scuola italiana è meglio attrezzata di altre per affrontare questa nuova tecnologia perché i suoi due pilastri sono, da sempre,

  • l’interrogazione orale e
  • la verifica scritta fatta a mano, senza nessun ausilio.

Gli insegnanti italiani hanno nel loro DNA un riflesso spontaneo per cui, quando devono emettere un giudizio, e soprattutto quando si arriva al momento di decidere se ammettere o non ammettere alla classe succissiva, dicono allo studente: “Vieni qui (sottinteso: alla cattedra): mo’ mi fai vedere quello che sai fare”.

Con tutti i corsi di formazione sulla didattica innovativa di ogni tipo, questo resta la base. E qui la cosiddetta intelligenza artificiale non può fare nulla: o sai fare o non sai fare. Punto.

In effetti, a pensarci meglio, questo significa confermare l’enfasi sulle “competenze” rispetto alle “conoscenze”, proprio nella direzione delle teorie pedagogiche più aggiornate: a me docente non mi interessa tanto vedere il prodotto finito in quanto tale (che potrebbe aver fatto chiunque) quanto controllare il modo in cui lo hai realizzato. Il che naturalmente implica un enorme investimento in termini di tempo, tanto che alla fine si rinuncia e si va a vedere solo il prodotto finito.

Ma in fondo qualsiasi insegnante che davanti a un compito perfetto chieda: “fammi vedere come l’hai fatto” conferma quello che ho appena detto.

Il che ci porta, credo, a un’altra impostazione fondamentale della scuola italiana, che più o meno inconsapevolmente, essendo una scuola di impostazione umanistica, si ispira al motto della scolastica medievale:

“operari sequitur esse”.

Dove l’ “essere” è quello della persona, e l'”operari” è la semplice sequenza della attività oggettive e misurabili messe su carta (o su file, che è lo stesso). La nostra idea insomma è che una persona ben formata e ben strutturata saprà sempre trovare il modo “operare” in modo da risolvere i problemi che la vita le metterà davanti. Visione un po’ ottimistica, perché storicamente ha sempre messo in secondo piano il “know how” pratico (come si scrive una relazione scientifica, per esempio, o come si appresta un esperimento scientifico) ma che trova una conferma empirica del suo valore nel fatto che gli studenti italiani quando vanno all’estero sono sempre apprezzati, mentre quando gli stranieri vengono da noi sono sempre in difficoltà.

Pensare in termini di “persona” inoltre permette di inserire tutto il discorso sulla scuola, in modo armonioso, con i principi fondamentali della nostra Costituzione, che non è cosa da poco.

L’altro tema caldo sarà quello dei cellulari, innescato dalla circolare del ministro Vaditara, che peraltro, come ovvio, precisa:

È viceversa consentito l’utilizzo di tali dispositivi in classe, quali strumenti compensativi di cui alla normativa vigente, nonché, in conformità al Regolamento d’istituto, con il consenso del docente, per finalità inclusive, didattiche e formative, anche nel quadro del Piano Nazionale Scuola Digitale e degli obiettivi della c.d. “cittadinanza digitale” di cui all’art. 5 L. 25 agosto 2019, n. 92.

E quindi: much ado about nothing.

Tuttavia alcuni problemi sono reali.

La tecnologia è tecnologia: complessa, ma (solo) tecnologia. Dopo McLuhan sappiamo bene che non è “neutra”: essendo una espansione “naturalmente artificiale” del nostro corpo, la sua semplice adozione modifica in modo strutturale il nostro rapporto col mondo. E allora? E’ sempre stato così, dai tempi del Fedro di Platone. Fino a quando non impareremo a padroneggiare una nuova tecnologia, ci farà sempre (giustamente) un po’ di paura. Però bisogna imparare a controllarla: power is nothing without control.

Purtroppo c’è qualcosa che ci fa perdere il controllo dei cellulari, ed è la prassi dello scrolling. Questa è la vera “bestia nera”, o meglio il vero “buco nero” che rischia di risucchiare tutta la vita delle persone.  Segnalo questo sito, che mi ha dato gli strumenti concettuali per capire alcune cose importanti  sullo scrolling.

In sostanza lo scrolling è stato inventato appositamente per trattenere in modo semplice ed elegante l’utente su un certo sito per un tempo il più lungo possibile, meglio se infinito. Il primo problema è proprio questo: lo scrolling su Instagram, Tic-toc o Facebook è privo di limiti intrinseci, quindi senza un (forte) controllo esterno si prolunga indefinitamente in una attività priva di “morfé”. E’ un qualcosa che occupa e satura la nostra memoria a breve termine senza che sia possibile trasformare il flusso di informazioni che comunque ci arrivano in qualcosa di stabile (cioè dotata di una forma unitaria). Le informazioni restano pure informazioni e quindi si trasformano in scorie che occupano la nostra coscienza senza farla minimamente crescere: secondo le immortali parole del sergente Hartman, “pezzi informi di materia organica anfibia volgarmente detta m@%&$£!”

Il fatto è che lo scrolling provoca assuefazinoe perché genera piacere, attraverso il rilascio di dopamina collegata all’attesa di quello che arriverà tra un attimo, come ci spiega il professor Robert Sapolsky qui. Quindi si, chi si schiera contro il cellulare (e il cellulare a scuola) ha le sue buone ragioni, che non possono essere sottovalutate o derise. Tuttavia resto dell’idea che la loro soluzione (lotta dura senza paura, divieto totale dei cellulari in classe) sia come buttare via il bambino con l’acqua sporca. La tecnologia va domata, è il cavallo nero del mito di Platone che va sottomesso alla ragione, non abbattuto. Questo naturalmente implica lavoro, fatica, fantasia da parte di noi insegnanti. Esattamente come con la cosiddetta Intelligenza artificiale, l’altro grande tema di quest’anno, bisognerà trovare dei modi intelligenti per usare il cellulare a scuola.

Per esempio, tutti quelli a favore della cosiddetta Intelligenza artificiale sono convinti che permetterà di creare percorsi didattici individualizzati. Esempi concreti nella letteratura non ne ho ancora visti, quindi l’anno scorso ho compinciato a fare qualche prova, che trovate qui

Personalmente sono convinto che si, a certe condizioni cellulari e cosiddetta Intelligenza artificiale funzioneranno.

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