“Nel parlare di una bella ragazza, di un bel paesaggio, di un bel dipinto, ho certo delle cose molto diverse in mente. Ciò che è comune a tutte, «la bellezza», non è né una entità misteriosa, né un mondo misterioso. Al contrario, nulla forse è sperimentato in modo più diretto e chiaro della presenza della «bellezza» in vari oggetti belli. Il fidanzato ed il filosofo, l’artista e l’imbalsamatore possono «definirla» in modi molto differenti, ma tutti definiscono la stessa condizione o stato specifici – una o più qualità che mettono il bello in contrasto con altri oggetti. In questa sua indeterminatezza e immediatezza, la bellezza è sperimentata nel bello, ossia è vista, udita, annusata, toccata, sentita, compresa. Essa è esperita quasi come un trauma, a causa forse del suo carattere di contrasto, che spezza il circolo dell’esperienza quotidiana ed apre (per un breve momento) un’altra realtà (di cui la paura può essere un elemento integrale).
Questa descrizione ha precisamente quel carattere metafisico che l’analisi positivista desidera eliminare mediante traduzione, ma la traduzione elimina ciò che era da definire.
Ci sono varie definizioni «tecniche» della bellezza in estetica, più o meno soddisfacenti, ma sembra essercene soltanto una che serba il contenuto di esperienza della bellezza ed è perciò la definizione meno esatta: la bellezza come «promessa di felicità» (Stendhal).
Essa coglie il riferimento ad una condizione di uomini e di cose, a una relazione tra uomini e cose che si manifesta momentaneamente mentre svanisce, che compare in tante forme differenti quanti sono gli individui e che, nello svanire, manifesta ciò che può essere.”
Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, pag. 222