Prendo spunto da un articolo di Farhad Manjoo per una immagine utile a descrivere la dinamica delle città. L’articolo di Manjoo (NTY 19 maggio 23) parla del cambiamento strutturale nel lavoro dopo la pandemia e della sua virata verso l’homeworking. La sua spiegazione è semplice: la gente odia fare il pendolare. Chi ci rimette? Le città, dice Manjoo, che “fanno affidamento sui ritmi dei pendolari giornalieri”.
Questo è lo spunto. Circa 1.650.000 persone si spostavano giornalmente già nel 2011 per andare a lavorare a Milano (report del Comune di Milano, basato sui dati dell’ultimo censimento disponibile). Prova a immaginare questa massa di persone come una marea, che sale al mattino e si ritira alla sera. Pensate letteralmente a una marea, perché si tratta di uno spostamento fisico di una massa fisica che si disperde in mille rivoli saturando tutti gli spazi disponibili: non solo gli uffici, ma le strade, i marciapiede, i parcheggi, i bar, le tavole calde, le biblioteche, gli uffici comunali, e ancora le metropolitane, i tram, gli autobus. Come fanno le maree nell’oceano quando riempiono le barriere coralline, questo spostamento riempie di vita alla mattina la nicchia ecologica che lo ospita e che esso stesso contribuisce a creare: la sera, poi, la marea rifluisce e interi quartieri si svuotano tornando a essere gusci senza nulla dentro o quasi.
A differenza del respiro oceanico queste maree umane non sono guidate dai ritmi della luna, ma dalle leggi dell’economia e dalle consuetudini degli umani, che hanno mantenuto legami assai pallidi con i cicli della natura (da quando la sacralità della domenica ha cambiato partito, spostandosi dalla sfera religiosa a quella economica con l’apertura dei supermercati per favorirne i bilanci – in cambio della possibilità di fare la spesa senza fretta – è caduto uno degli ultimi baluardi). In ogni caso però questi milioni di persone che si spostano generano business con il loro stesso spostarsi, un giro di affari che a sua volta ha fatto crescere uno strato accessorio di lavori e di professioni che danno di che vivere ad altre decine di migliaia di persone per ogni grande metropoli.
Di qui forse le proteste e le spinte da parte di certe aziende perché le persone tornino a lavorare fisicamente negli uffici che, a New York, sono utilizzati solo al 50%.
A ben vedere, si tratta di un caso tipico della irrazionalità della razionalità tecnologica di cui parlava Marcuse. Secondo Manjoo gli statunitensi destinano 56 minuti al giorno in media per il commuting, ossia gli spostamenti pendolari per andare al lavoro. Si tratta di una pura media matematica, avverte lo stesso Manjoo. In effetti mi pare ancora poco. Qui a Milano almeno è abbastanza normale impiegare 40 minuti solo per il viaggio di andata. E’ vero che questo tempo spesso non è totalmente buttato via (Pennac ha scritto che la più grande sala di lettura di Francia è la metropolitana di Parigi), ma nel complesso di tratta per lo più di energia buttata, come con gli attriti.
Perciò come sorprendersi se l’esperienza del lavoro da casa durante il lockdown della pandemia di Covid ha aperto gli occhi a molti?
A differenza delle maree, che si alzano e si abbassano nella cecità della loro obbedienza alle leggi fisiche, le persone hanno la possibilità di prendere consapevolezza di quello che stanno facendo, e se si concede loro una possibilità la sfrutteranno