Oggi, su La lettura del Corriere della Sera, mi sono imbattuto nella intervista a Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino. Al termine del lungo colloquio con Fabio Genovesi, rispondendo a una domanda su quello ritiene di aver perso nella vita, Greco risponde: “Il tempo per la ricerca…Vorrei chiudermi in una biblioteca a leggere. Mi sento sempre più ignorante, una specie di analfabeta di ritorno”.
Che cosa stupenda da dire e da pensare. E io devo confessare che arrivato a 63 anni mi sento proprio così. Ho letto e studiato tanto, ma avrei voluto leggere e studiare di più. Il cronista, anche lui colpito, chiosa che Greco “parla almeno dieci lingue e legge i geroglifici come noi i cartelli pubblicitari lungo la strada”, e io non mi avvicino nemmeno lontanamente a questi livelli di cultura.
Eppure capisco perfettamente quello che vuole dire quando dice: “Mi sento sempre più ignorante”. Ogni volta che prendo in mano un libro sono divorato dalla curiosità di sapere cosa dice. Ma non è proprio curiosità, questa parola è sbagliata: lascia intendere che si tratti di qualcosa di futile e passeggero, qualcosa che appunto è una semplice curiosità, una domanda che si è posata sulla mia coscienza come uno svolazzo e che uno starnuto farà volar via come una piuma o uno spelacchio di pioppo.
E’ più una sete, un desiderio, una bramosia, un qualcosa che mi fa dire: “Ah, se solo potessi sapere cosa c’è dentro!” Si, è più di una semplice “curiosità”: è sentirsi ignorante, appunto, avere la percezione di una mancanza, di un vuoto nella rete delle mie conoscenze. Una rete che parte da me (che in realtà è me) e che si estende in tutte le direzioni a perdita d’occhio: come il deserto del Sahara, guarda un po’ che coincidenza avere in mente una metafora che mi riporta al mondo degli egizi… ma l’immagine che ho in mente è piuttosto la descrizione grafica di onde e numeri, quelle descrizioni che fanno a volte vedere per raffigurare il funzionamento dei software.
Ma questa rete non è omogenea, ha addensamenti e strappi, picchi e voragini, e io pur essendo qui li vedo, questi addensamenti e questi buchi, anche se sono là: e proprio i buchi attraggono, con la energia magnetica del polo negativo. Attraggono perché chiedono di essere riempiti, come una buca nella strada chiede di essere riempita in modo che la superficie della strada recuperi la sua continuità.
Questo forse è quello che chiamiamo “ignoranza”: la percezione di un buco che va riempito, una assenza che va colmata, uno strappo che va ricucito, in modo che la nostra coscienza (cioè noi, e basta) possiamo esistere in modo più intenso.
L’anima ha un suo paesaggio, che va curato come un giardino.