Sono abbastanza convinto che nel campo dell’educazione non ci sia niente di realmente nuovo sotto il sole. Per un verso ogni generazione è diversa dalla precedente, ma per un altro è identica. È impossibile credere davvero che oggi, nel 2023, si possa “inventare” (anche nel senso etimologico di “trovare”) qualcosa di realmente “nuovo” in questo campo. D’altra parte se nel passato tutti avessero sbagliato il modo di insegnare ai loro studenti, come sarebbe possibile che l’umanità nel suo complesso sia arrivata fin dove è arrivata (nei suoi lati migliori, è ovvio)? Perciò lo scontro che si rinnova ogni volta tra “conservatori” e “innovatori” non solo è deleterio ma è anche fondamentalmente sbagliato. Basta guardare con un po’ di atttenzione nel passato e si scoprirà che si sono sempre sapute le cose che oggi talvolta si spacciano come grandi “novità” didattiche (fatta la tara sulla tecnologia, naturalmente).
Devo a Marco Magni di aver richiamato la mia attenzione sul Saggio XXVI del primo volume degli Essais di Montaigne, che tratta appunto della “Educazione dei fanciulli”. Montaigne scrive tra il 1580 e il 1588 (le lettere maiuscole A, B e C tra parentesi quadre che trovate nella citazione qui sotto si riferiscono appunto alle edizioni del 1580, del 1588 e le ulteriori aggiunte manoscritte), rivolgendosi a una amica, Diane de Foix, Contessa du Gerson, in occasione della sua prima gravidanza.
Sono parole scritte quasi quattrocentocinquanta anni fa. Le strategie educative contro le quali Montaigne combatte sembrano prese di peso da certe aule di oggi mentre, simmetricamente, le proposte che avanza potrebbero essere copiate verbatim in una rivista didattica a la page, per non parlare del motto “una testa ben fatta piuttosto che ben piena” che è diventato il vessillo di un’intera avanguardia.
È chiaro che riflettendo su questo scontro tra “innovatori” e “difensori della tradizione” ci troviamo di fronte a qualcosa di strutturale, non a un semplice accadimento congiunturale che “ccidit” ossia “capita” nei primmi anni del XXI secolo. È cioè qualcosa di simile a quello che avviene nel campo della morale, nel quale ogni generazione ha rimpianto quella precedente indicando nel passato il tempo “sano” in cui i “veri” valori venivano davvero seguiti nella vita concreta. Fosse davvero così, sarebbe inconcepibile il grado di purezza degli uomini e le donne di quaranta o cinquanta generazioni fa rispetto all’abisso di perversione e di malvagità in cui stanno precipitando i bambini che hanno oggi dieci anni ! 😂😂😂😂
Perciò la strada deve essere un’altra. Quella che mi pare più interessante al momento ci viene suggerita da Luciano Floridi con la sua nozione di filosofia come design concettuale, ossia, se capisco bene, come capacità di rilettura sempre diversa dell’identico, tenendosi lontani sia dal platonismo puro e duro (tutti i concetti esistono già) sia dal relativismo assoluto (non esistono concetti ma solo illusorie): un’idea che lo stesso Floridi proietta nel campo della educazione.
Provare per credere, cominciando col leggere il testo di Montaigne che riporto qui sotto.
Il compito del precettore che gli darete, dalla scelta del quale dipende tutto il risultato della sua educazione, ha parecchi altri aspetti importanti, ma non me ne occuperò, perché non saprei apportarvi nulla di valido; e su questo punto, sul quale mi permetto di dirgli il mio parere, mi darà ascolto in ciò che gli sembrerà ragionevole. Per un figlio di buona famiglia che si volga alle lettere, non per guadagno (perché uno scopo tanto abietto è indegno della grazia e del favore delle Muse, e poi riguarda altri e dipende da altri), e non tanto per i vantaggi esteriori quanto per i suoi personali, e per arricchirsene e ornarsene nell’intimo, se si desidera farne un uomo avveduto piuttosto che un dotto, vorrei anche che si avesse cura di scegliergli un precettore che avesse piuttosto la testa ben fatta che ben piena, e che si richiedessero in lui ambedue le cose, ma più i costumi e l’intelligenza che la scienza. E che nel suo ufficio egli si conducesse in una maniera nuova. Non si smette di blaterarci negli orecchi, come si versa in un imbuto, e il nostro compito è soltanto ridire quello che ci è stato detto. Vorrei che egli correggesse questo punto; e che fin dal principio, secondo le possibilità dell’animo che gli è affidato, cominciasse a metterlo alla prova, facendogli gustare le cose, sceglierle e discernerle da solo. A volte aprendogli la strada, a volte lasciandogliela aprire. Non desidero che inventi e parli lui. solo, desidero che ascolti il suo discepolo parlare a sua volta. [c] Socrate e in seguito Arcesilao facevano prima parlare i loro discepoli, e poi parlavano loro. Obest plerumque iis qui discere volunt auctoritas eorum qui docent. È bene che egli se lo faccia trottar davanti per giudicare la sua andatura, e giudicare fino a che punto debba abbassarsi per adattarsi alle sue forze. Se manca questa proporzione, guastiamo tutto; e saperla trovare, e regolarsi di conseguenza con giusta misura, è uno dei più ardui compiti che io conosca; ed è prerogativa di un’anima nobile e assai forte saper secondare la sua andatura di fanciullo e guidarla. Io cammino più sicuro e più saldo in salita che in discesa. Quelli che, come vogliono le nostre usanze, cominciano con una medesima lezione e con ugual metodo a governare parecchi spiriti tanto diversi di misura e di forma, non c’è da meravigliarsi se in tutta una folla di ragazzi ne trovano appena due o tre che ricavino qualche buon frutto dal loro insegnamento. [A] Non gli chieda conto soltanto delle parole della sua lezione, ma del senso e della sostanza, e giudichi del profitto che ne avrà tratto non dalle prove della sua memoria, ma della sua vita. Ciò che avrà imparato, glielo faccia esporre in cento guise e adattare ad altrettanti soggetti diversi, per vedere se l’ha anche afferrato bene e fatto veramente suo. [c] Basandosi, come modello al suo procedere, sui principi pedagogici di Platone. [A] È segno d’imbarazzo di stomaco e d’indigestione rigettare il cibo come lo si è inghiottito. Lo stomaco non ha compiuto la sua operazione se non ha fatto cambiare aspetto e forma a quello che gli si era dato da digerire. [B] La nostra anima non si muove che sulla parola altrui, legata e costretta dalla brama delle fantasie di altri, serva e prigioniera sotto l’au- torità del loro insegnamento. Ci hanno sottoposto per tanto tempo alle dande che non sappiamo più camminare da soli. Il nostro vigore e la nostra libertà sono spenti. Nunquam tutelæ suæ fiunt. Vidi in privato a Pisa un uomo dabbene, ma tanto aristotelico che il più universale dei suoi dogmi è che la pietra di paragone e la regola di ogni salda concezione e di ogni verità è la conformità alla dottrina di Aristotele, che al di fuori di quella non si hanno se non chimere e vanità; che egli ha veduto tutto e detto tutto. Questa proposizione, per esser stata un po’ troppo largamente e inesattamente interpretata, lo mise una volta, e lo tenne a lungo, in gravi pasticci presso l’Inquisizione a Roma,
[A] Che gli faccia passar tutto allo staccio e non gli metta in testa nulla con la sola autorità e sulla parola. I principi di Aristotele non siano i suoi principi più di quelli degli stoici o degli epicurei. Lo si metta davanti a questa varietà di giudizi: se può, sceglierà, altrimenti rimarrà in dubbio. [c] Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti.
[B] Che non men che saper dubbiar m’aggrada,
[A] Infatti, se abbraccia le opinioni di Senofonte e di Platone per suo proprio ragionamento, non saranno più le loro, saranno le sue. [c] Chi segue un altro, non segue nulla. Non trova nulla, anzi non cerca nulla. Non sumus sub rege; sibi quisque se vindicet, Che, almeno, egli sappia che sa. [A] Bisogna che assorba i loro umori, non che impari i loro precetti. E che dimentichi pure arditamente, se vuole, da dove li ha presi, ma che sappia appropriarseli. La verità e la ragione sono comuni a ognuno, e non sono di chi le ha dette prima più di chi le ha dette poi. [c] Non è secondo Platone più che secondo me, dal momento che lui ed io l’intendiamo e la vediamo allo stesso modo. [A] Le api predano i fiori qua e là, ma poi ne fanno il miele, che è tutto loro, non è più timo né maggiorana: così quello che ha preso da altri, egli lo trasformerà e lo fonderà per farne un’opera tutta sua, ossia il suo giudizio. La sua istruzione, il suo lavoro e il suo studio non mirano che a formarlo. [c] Tenga nascosto tutto ciò che gli si è insegnato e manifesti solo ciò che ne ha fatto. Quelli che depredano, quelli che prendono, mettono in mostra le loro opere, i loro profitti, non quello che traggono da altri. Voi non vedete gli onorari di un giudice, vedete le parentele che ha stretto e gli onori che ha procurato ai suoi figli. Nessuno mette in pubblico i propri proventi; ognuno vi mette il proprio avanzamento. Il guadagno del nostro studio è esserne divenuto migliore e più saggio. [A] Diceva Epicarmo, è l’intelletto che vede e ode, è l’intelletto che approfitta di tutto, che organizza tutto, che agisce, domina e regna: tutte le altre cose sono cieche, sorde e senz’anima. Certo noi lo rendiamo servile e codardo, se non gli lasciamo la libertà di fare alcunché da solo. Chi ha mai domandato al proprio discepolo che cosa gliene sembri della retorica e della grammatica, di questa o quella sentenza di Cicerone? Ce le appiccicano alla memoria tutte adorne di piume, come oracoli dove le lettere e le sillabe sono la sostanza della cosa. [c] Sapere a memoria non è sapere: è conservare ciò che si è dato in custodia alla propria memoria. Di quello che si sa direttamente se ne dispone, senza guardare al modello, senza volger gli occhi al libro. Fastidiosa scienza, una scienza puramente libresca. Mi auguro che serva di ornamento, non di fondamento. Secondo il parere di Platone, il quale dice che la costanza, la fede, la sincerità sono la vera filosofia, e le altre scienze, che mirano ad altro, sono soltanto belletto. [A] Vorrei proprio che il Palvallo o Pompeo, questi bei danzatori dei miei tempi, insegnassero le capriole soltanto facendocele vedere, senza che ci muoviamo dai nostri posti, come costoro vogliono istruire il nostro intelletto senza scuoterlo, [c] o che qualcuno ci insegnasse a maneggiare un cavallo o una picca o un liuto o la voce senza esercizio, come costoro vogliono insegnarci a giudicar bene e a parlar bene senza esercitarci né a parlare né a giudicare.