La città è, nella sua essenza, un acceleratore di esperienze.
Le case, i palazzi, le torri naturalmente servono a definire una città, ma ne sono come la “materia” aristotelica. Accanto, sopra, dentro gli edifici materiali, quell’insieme che i latini indicavano con la parola urbs, esiste la comunità degli umani (la civitas dei romani) che quegli edifici abita e anima, perchè li ha creati e anzi quasi secreti da sè come il luogo dove esistere.
La città è un luogo dove gli uomini convivono a stretto “contatto”, ossia costruendo relazioni che si srotolano nello stesso modo in cui si dispiegano i viali, le strade, i vicoli. Anzi, direi che il complesso topografico stradale di una città è una stupenda metafora delle relazioni umane che uniscono le persone che ci abitano. Un viale periferico ad alta percorrenza a Milano o Roma esprime, con la velocità delle automobili che lo percorrono e la impossibilità di attraversarlo se non tramite i sottopassi o i ponti predisposti, esprime e anzi incarna un modo di vivere completamente diverso da quello espresso e incarnato da un carrugio ligure o una stradina di un villaggio della Valle d’Aosta.
Tutto ciò viene percepito istintivamente, senza fare un corso di filosofia teoretica. Quando nel medioevo soprattuto germanico si diceva che “l’aria della città rende liberi” si alludeva certo a una pratica giuridica, certo (se un servo della gleba riusciva a sfuggire alla sorveglianza del suo signore feudale e riusciva a rifugiarsi in una città senza farsi prendere per un anno, acquisiva la libertà dai vincoli feudali precedenti: beninteso, solo per lasciarsi imbrigliare da una serie di altri vincoli altrettanti ferrei creati dalle corporazioni cittadine), ma in qualche modo si avvertiva anche che davvero la città esprimeva un altro modo di esistere rispetto alla campagna. Tutti diciamo, senza pensarci troppo, che sono due “mondi” diversi: eppure questa espressione dovrebbe essere presa molto sul serio, direi quasi alla lettera.
La caratteristica che sempre è balzata agli occhi di tutti, almeno qui in Europa, è che la vita nella città è in qualche modo più intensa perché è più veloce. Tutto capita con maggiore rapidità, e questo succede perché il semplice fatto di vivere a stretto contatto moltiplica in modo quasi esponenziale la possibilità di nuovi incontri. In questa considerazione così semplice e così elementare sta il segreto della città come “luogo dell’anima”. Certo, la città è anche il luogo in cui si concentrano potere e ricchezza, il luogo in cui materialmente si prendono decisioni importanti per la vita di tutta la comunità: che sia il bargello di una città medievale o il 50° piano di un supergrattacielo, chi è detentore del potere reale e del potere economico sa che deve occupare anche fisicamente i luoghi simbolo della città (sono i mafiosi, o meglio i mafiosi rappresentati da certa iconografia falsamente romantica, legata all’illusione di una società chiusa su se stessa e fuori dal tempo, che non a caso indica se stessa come “famiglia”, a prediligere il pergolato in collina con vista mare come luogo delle riunioni decisive). La città è anche questo, certo. Ma per chi la vive, anzi, per chi letteralmente la “fa esistere” ( quasi nello stesso senso in cui i mattoni fanno esistere una casa) la città è anche altro: è, appunto, il fatto della prossimità con migliaia e migliaia di altre persone simili a lui.