Certamente c’è stato un grave errore da parte di tutti quelli che hanno cercato nel corso degli ultimi vent’anni di introdurre l’uso delle ICTs nella prassi didattica, ed è stato quello di dire: “Avete sbagliato tutto, adesso vi diciamo noi come dovete fare!” Dire una cosa come questa a persone che avevano trascorso la vita a insegnare, e probabilmente a insegnare bene, non poteva che risultare irritante. Il risultato è stato una chiusura di campo che ha provocato per reazione un ulteriore irrigidimento da parte della pattuglia di coloro che proponevano le idee nuove: “Non capite! Siete vecchi! Siete superati! Il mondo vi seppellirà!” e altre amenità del genere.
E così è andata sprecata una grande occasione, almeno fino ad ora. I primi esploratori adesso sono diventati vecchi; non è detto che abbiano ancora l’energia e la voglia di mettersi in gioco.
Certamente esiste in questo momento un Movimento di persone all’interno della scuola che hanno cercato e cercano di trovare modi nuovi di insegnare. QUante sono?
E’ difficile dirlo: non esiste un’anagrafe di queste cose. Certamente il Movimento è partito dal basso, come ogni movimento, approfittando del vuoto lasciato dal Ministero, e questo ha permesso a tanti polloni di nascere e germogliare (il movimento della flipped-classroom, l’esperimento di Book in progress, il tentativo di Imparadigitale, Alberto Pian, il mio Filo di Arianna) ma come tutti i movimenti di questo tipo lo spontaneismo a un certo punto si esaurisce. Dovrebbe essere sostituito o almeno integrato da una guida dall’alto, da una qualche forma di coordinamento. Il Ministero della Pubblica Istruzione è quanto di meno adatto ad assolvere a questa funzione di guida: da un lato è sempre in ritardo, dall’altro sfrutta abilmente la scusa della autonomia scolastica per demandare alle scuole la responsabilità di tutto (senza fornire i necessari capitali economici).
Forse potrebbero, in teoria, subentrare le università, o almeno qualche università più attenta e sensibile a queste tematiche (o almeno che ospitano al loro interno docenti interessati a questo percorso: Bicocca e Politecnico a Milano, il Politecnico di Torino…). Per adesso non vedo segnali.
Il risultato di questa mancanza di strutture interne si è visto bene durante la crisi COVID: le grandi aziende della rete e del mondo informatico, su tutte Google e Microsoft, hanno occupato lo spazio lasciato libero con l’eleganza di grasse galline che si sono lasciate cadere pesantemente sul nido lasciato libero dagli attori istituzionali per cominciare a produrre le loro uova d’oro. La homepage del MIUR in cui si indicano con nonchalanche i sistemi di GSuite Educational, Office 365 Education di Microsoft e WeSchool (con tanto di logo di TIM spudoratamente in evidenza ) resterà a lungo tra le pagine peggiori della scuola italiana.
Si potevano seguire altre strade? Sicuramente si, ma ci sarebbero voluti coraggio e un minimo di visione globale della scuola.