Si sente spesso dire che l’insegnamento dovrebbe essere “divertente”. Chi dice questo di solito afferma anche che in questo modo lo studio diventa meno noioso e pesante. A un livello un pochino più sofisticato, quanti sostengono che il processo di apprendimento/insegnamento dovrebbe essere “divertente” aggiungono che in questo modo si attivano processi emotivi che fissano l’apprendimento in modo molto più solido dato che coinvolgono aree diverse del cervello (quelle appunto preposte alla elaborazione delle emozioni e dei sentimenti).
A mio avviso si corre qui il rischio di un equivoco linguistico dalle conseguenze nefaste. “Divertente” e “divertimento” ha in sé, come quasi tutte le parole, una gamma di sfumature semantiche molto ampia, alcune delle quali antitetiche tra loro. Chi usa la parola per qualificare l’azione dell’apprendimento/insegnamento naturalmente ha in mente soprattutto la gamma delle sfumature positive: una cosa “divertente” è qualcosa di piacevole, accattivante, che viene ricordata con piacere e che perciò viene ricordata spesso (appunto per assaporare almeno il ricordo di quel piacere). Tuttavia l’etimologia della parola rimanda inequivocabilmente al latino “de-vertere”, che significa qualcosa come “allontanarsi da”, “distogliere l’attenzione da”. La particella “de” è abbastanza inequivocabile.
Il rischio consiste nel fatto che i ragazzi (ma non solo loro) recepiscano (o scelgano di recepire) uno solo di questi significati, quello più comodo e meno impegnativo, quello appunto per cui una cosa “divertente” è qualcosa che si fa se, come e quando si “ha voglia”, ossia qualcosa da fare se e quando essa si inserisce spontaneamente e senza fatica nello stato d’animo in cui psicologicamente ci si trova in quel momento (e che potrebbe cambiare, anzi, che sicuramente cambierà in un momento successivo).
Io credo che l’aggettivo giusto da usare per descrivere un apprendimento/insegnamento capace di inserirsi in modo stabile nella struttura coscienziale dell’adolescente sia “appassionante”. Anche la parola “passione” eredita una etimologia ambigua, dato che “patior” in latino significa “soffrire” (da qui il suo uso religioso cristiano per indicare la “passione” di Cristo sulla croce). Tuttavia, grazie forse al suo contatto con l’esperienza erotica (a sua volta dovuta al fatto che l’innamoramento è una esperienza che viene “subita” dalla coscienza: non si sceglie chi si ama) ha acquisito anche un significato diverso, oserei dire opposto, che allude invece al coinvolgimento totale, allo slancio, alla attenzione, alla cura, al mettersi in gioco in quello che si sta facendo. E’ questa la galassia di significati che descrive meglio un apprendimento/insegnamento efficace, ossia duraturo.