Se l’esempio iconico della conoscenza seicentesca era la mappa prodotta in base ai rigidi principi della geometria, l’equivalente attuale sarebbe Google Maps, tecnologia che ci richiede solo di conoscere la destinazione, trasformandola in una serie di comandi di svolta a destra o a sinistra. Noi forniamo un obiettivo e Google Maps ci fornisce delle istruzioni. La funzione di Google Maps non è produrre un ritratto della realtà, ma eseguire un piano.
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Svanito l’ottimismo iniziale nei confronti di «cyberspazio» e «comunità virtuale» però, è ormai sempre pió chiaro che Internet conserva parte del suo carattere militare. Che sia al servizio di grandi imprese come Facebook o di agenzie governative, rimane uno strumento estremamente efficace di sorveglianza, individuazione di modelli e controllo.
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Se consentiamo che applicazioni e piattaforme ci intrappolino nelle reti digitali è in base alla promessa di un coordinamento più efficace: il mondo non ci diventerà maggiormente noto, ma diventerà più obbediente. Uber, per esempio, ci risparmia di dover conoscere i numeri, gli indirizzi o le mappe dei taxi, dandoci in cambio una tecnologia di comando.
Il loro [scil. di realtà tecnologiche come Facebook] vero scopo è quello di fornire l’infrastruttura attraverso cui le persone incontrano il mondo. Si tratta di un’operazione filosofica oltre che tecnologica, in cui il computer si intromette nel rapporto fondamentale tra «mente» e «mondo» che aveva causato tanti dubbi a Cartesio negli anni Trenta del Seicento. Secondo questa prospettiva, quando la mente vuole sapere qualcosa si rivolge a Google e quando vuole comunicare con qualcuno utilizza Facebook. Se vogliamo spostarci clicchiamo su Uber e se vogliamo qualcosa ci pensa Amazon a farlo arrivare. E cosi via.
Guardiamo lo schermo più perché è sotto il nostro controllo che per qualsiasi informazione ne possiamo ricavare.
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L’infrastruttura che sta costruendo la Silicon Valley si discosta da quella immaginata dalle distopie del xx secolo in cui la sorveglianza dello Stato si avvale di un’oppressiva polizia segreta. Si discosta anche dalle tecniche statistiche di censimento, sondaggio o indagine che richiedono specialisti inviati nella società a porre domande, potenzialmente disturbando gli interlocutori. La differenza è questa: accogliamo di buon grado la sorveglianza digitale nella nostra vita perché promette di farci esercitare un controllo su di essa. Ci consente di dare ordini: «serve del detergente per la cucina!», «mandami una macchina», «dimmi le previsioni del tempo».