Però mi chiedo se non avessi fatto meglio a stare di più nel mondo: mi pento pubblicamente, per esempio, di essermi sempre rifiutato di “fare politica”. Io vengo da una di quelle famiglie in cui la politica è “una cosa sporca”. Adesso che vedo lo sfascio di questa società che consegnamo ai nostri figli, mi pento di non aver fatto di più all’epoca, quando forse di poteva ancora fare qualcosa (certo, lo so: il mio contributo da solo non poteva “salvare il mondo”, e viceversa il rischio di compromettersi sul piano morale era molto, molto alto). In ogni caso, adesso mi pento di non aver fatto TUTTO quello che era possibile fare.
Così come mi pento di non aver vissuto abbastanza: il momento della riflessione è essenziale, ma per definizione oggettivando la vita ce ne distacca. E’ la vera “malattia mortale”: per vivere da uomini bisogna attivare la facoltà della riflessione, ma la riflessione ci stacca dalla vita. Se vivo, non sono uomo; se vivo da uomo, non vivo più. Ciascuno deve trovare il proprio equilibrio tra questi estremi: io non me la sento di dire “cosa fare”, segnalo solo lo scoglio e la secca (spero in modo chiaro) ai naviganti che verranno dopo di me. Altre cose vanno dette a voce, non si possono mettere per iscritto.