La Jolly Nero non era una nave tanto più sfortunata di altre. Era vecchia, quello si (era stata varata nel 1976 come Maersk Alaska), ma fino al 7 maggio 2013 se l’era cavata bene, anche durante il periodo in cui era stata impiegata dalla Marina Militare americana come nave appoggio per il Maritime Prepositioning Ship Squadron Three. Ma quella notte no. Il comandante Roberto Paoloni decise di uscre dal porto di Genova anche se sapeva che le macchine non erano in perfette condizioni (più volte avevano rifiutato di partire) e il contagiri in plancia non era funzionante. Forse sarà partito perché doveva partire; forse si sarà detto :”Speriamo in bene!”; certamente si sarà incoraggiato mormorando tra sé: “Massì, è andata sempre bene, perché dovrebbe andar male adesso?”
Eppure alle 23.05, proprio mentre la nave stava compiendo nelle acque ristrette del porto la complessa manovra di girarsi per uscire (un po’ come deve fare un TIR per lasciare il suo parcheggio) le macchine si fermarono. C’erano due rimorchiatori ad aiutare la Jolly Nero: ma nessuno li avvertì per oltre un minuto mentre la nave, a circa 3 nodi di velocità (circa 5,5 km/h), piano piano puntava dritta verso la torre alta 50 metri della Capitaneria del porto di Genova.
Il video di una telecamera di sorveglianza mostra gli istanti fatali. La nave si muove lentamente, molto lentamente: eppure a quel punto tutto è già deciso. Non si può fare più nulla. In mille altre occasioni, prima, qualcuno avrebbe potuto fare qualcosa che gli spettava, e ognuno di questi gesti sarebbe stato decisivo per salvare la nave e la torre. Invece no, e la nave lentamente ma inesorabilmente abbatte la torre uccidendo nove persone.
L’Italia per qualche verso assomiglia a questa nave: acciaccata e vecchia, bisognosa non di qualche rappezzo ma di un “ciclo di grandi lavori”, come si chiama in gergo l’insieme dei lavori che rimettono a nuovo l’unità. Comandata da ufficiali come minimo troppo ottimisti, che nel momento del bisogno perdono l’attimo giusto per agire, e che comunque si erano affidati troppo ciecamente alla buona sorte.
A un certo punto viene superato un limite, quello che fa cristallizare la situazione in un determinato modo. Quando si rendono conto che quel limite è superato è troppo tardi. Certo, gli ufficiali cercano di fare qualcosa, come gettare le ancore: una manovra giusta, fatta prima. Ma inutile, dopo aver superato quel limite. La nave nel video sembra muoversi lentamente, e in effetti si sta muovendo lentamente, ma le sue dimensioni sono tali che gli effetti sono comunque catastrofici. Gli uomini sulla torre hanno visto e capito troppo tardi quello che stava accadendo, e non hanno fatto in tempo a mettersi in salvo: certamente sono rimasti in cima alla loro postazione perché erano convinti che mai e poi mai un capitano avrebbe commesso un errore così madornale e pazzesco.
E invece….
Reuter
Appendice
Estratto della relazione del consulente incaricato dai giudici, pubblicato su Repubblica.it